Il ministero dell’Interno non si è costituito parte civile nel processo iniziato a Verona, con rito immediato, contro due dei cinque agenti di polizia del Nucleo Volanti (tra cui un ispettore) arrestati nel giugno dell’anno scorso con l’accusa di aver partecipato a vario titolo, tra il luglio 2022 e il marzo del 2023, a torture, pestaggi e umiliazioni nei confronti di persone fermate o arrestate, soprattutto immigrati, tossicodipendenti o senzatetto. Tra le accuse anche falso, omissioni di atti d’ufficio, peculato, abuso d’ufficio e l’aggravante di odio razziale. Al tribunale di Verona, il collegio presieduto dal giudice Raffaele Ferraro affronta il giudizio dei due agenti Alessandro Migliore e Loris Colpini che, per l’importanza delle prove raccolte, sono attualmente ancora agli arresti domiciliari. A loro carico ci sarebbero intercettazioni e perfino registrazioni video. Migliore si è dimesso dalla polizia. Per gli altri tre poliziotti (Francesco Bonvissuto, Massimiliano Miniello e Giuseppe Tortora), non più ai domiciliari, si procederà invece in sede separata. Eppure il ministero dell’Interno evidentemente non ritiene che sarebbe danneggiato dall’eventuale condanna degli agenti. E neppure i sindacati di polizia, anche loro latitanti.

Alla prima udienza, il giudice Ferraro ha ammesso come parti civili oltre alle vittime anche il Garante nazionale delle persone private di libertà difeso dall’avvocato Michele Passione, l’associazione Avvocato di strada e il Partito per la tutela dei diritti dei militari rappresentati dall’avvocato Piero Santantonio, Luogotenente dei Carabinieri in congedo e volontario dell’organizzazione che assiste legalmente le persone senza fissa dimora. «Il Tribunale di Verona ci ha inoltre autorizzato a citare come responsabile civile il ministero dell’Interno – riferisce l’avvocato Santantonio – assente all’udienza così come i sindacati di Polizia. E questo – sottolinea – non è un bel segnale, perché dimostra scarsa attenzione ai valori e alla cultura della legalità che sono propri delle forze dell’ordine e dovrebbero esserlo sempre».

Nel decreto di giudizio immediato disposto dal Gip di Verona Livia Magri nei confronti di Migliore e Colpini si legge la lunga serie di reati contestati ai due agenti, a cominciare dalla violazione dell’articolo 613 bis. L’accusa è di aver torturato «con sadico godimento» all’interno della Questura di Verona persone fermate per identificazione o per possesso di piccole quantità di hashish. I due agenti, in concorso con gli altri tre poliziotti avrebbero, a vario titolo, anche omesso denunce, falsificato verbali e abusato dei loro poteri. Si parla di calci e sberle ad un cittadino rumeno fermato per l’identificazione fino a fargli perdere i sensi, di utilizzo «ingiustificato» dello spray oleoresin capsicum (al peperoncino), di umiliazioni come quella di costringerlo a urinare nella stanza dove era detenuto e poi a pulire con uno straccio.

Quando i cinque poliziotti vennero arrestati l’anno scorso, erano 17 complessivamente gli agenti indagati e 23 i trasferiti e la Gip Magri scrisse che i 7 episodi accertati dalla procura scaligera non erano fatti isolati, ma si trattava di «un modus operandi consolidato». L’indagine questa volta non è stata imposta da denunce esterne, ma scaturita dall’intercettazione di un poliziotto nell’ambito di altre inchieste e disposta autonomamente dal questore scaligero Roberto Massucci. Al tempo, i sindacati degli agenti, il capo della Polizia Pisani e il ministro degli Interni Piantedosi riservarono ai clamorosi arresti solo frasi di circostanza, ribadendo però che, se confermati, i fatti sarebbero davvero «deplorevoli». Evidentemente non così tanto da costituirsi parte civile, però.

«È un processo che ha un valore simbolico molto alto e nel quale vogliamo portare la nostra esperienza ventennale di tutela delle persone senza dimora – afferma Antonio Mumolo, presidente dell’Associazione Avvocato di strada – I poliziotti dovrebbero occuparsi di difendere le persone, specialmente le più deboli, non torturarle e umiliarle. Con la nostra presenza come parte civile al processo vogliamo dare un segnale forte e ribadire ancora una volta il nostro credo: difendere i diritti dei più deboli significa difendere i diritti di tutti. Anche a Verona non esistono cause perse». La prossima udienza è fissata per il 16 di aprile.