Zerocalcare: «Solidali con i curdi, ma solo a volte»
Intervista «È una delle poche volte che conosciamo la biografia di una persone accusata di essere scafista. Sappiamo tutto di lei, il suo lavoro artistico è pubblico così come il suo attivismo nelle rivolte delle donne iraniane, e sappiamo che il suo profilo non è certo compatibile con l'attività di scafista. Eppure appena arrivata in Italia scatta l'accusa e viene messa in galera»
Intervista «È una delle poche volte che conosciamo la biografia di una persone accusata di essere scafista. Sappiamo tutto di lei, il suo lavoro artistico è pubblico così come il suo attivismo nelle rivolte delle donne iraniane, e sappiamo che il suo profilo non è certo compatibile con l'attività di scafista. Eppure appena arrivata in Italia scatta l'accusa e viene messa in galera»
Ai festival di cinema abbiamo visto le sedie vuote, come quella di Jafar Panahi a Venezia, oppure la scelta di chi per esserci, come Mohammad Rasoulof a Cannes, ha imboccato la via dell’esilio. Ma accanto ai nomi più noti ci sono tantissime storie di artisti e artiste iraniane costretti a lasciare il paese. Galera, intimidazione, censura e impossibilità di firmare lavori per anni sono la norma. Tra loro, c’è Maysoon Majidi. «È una delle poche volte che conosciamo la biografia di una persone accusata di essere scafista. Sappiamo tutto di lei, il suo lavoro artistico è pubblico così come il suo attivismo nelle rivolte delle donne iraniane, e sappiamo che il suo profilo non è certo compatibile con l’attività di scafista. Eppure appena arrivata in Italia scatta l’accusa e viene messa in galera, dove si trova ormai dall’inizio dell’anno».
Sono le parole di Zerocalcare, che raggiungiamo al telefono; il fumettista conosce bene il contesto da cui proviene Majidi, curdo-iraniana, avendo viaggiato più volte in quei territori, esperienze su cui si basa il libro No Sleep Till Shengal.
La redazione consiglia:
Mi chiamo Maysoon MajidiLa vicenda di Maysoon Majidi ci dice molto sul sistema dell’accoglienza in Italia, nonostante conosciamo la condizione delle artiste, a maggior ragione le donne, che fuggono dall’Iran.
Certo, anche perché Majidi è riconoscibile ma il punto è che non sappiamo invece quante persone innocenti vengano accusate di questo crimine, persone di cui non sappiamo nulla, la cui vita non ci è nota, ma che arrivano qui fuggendo dalla repressione come quella messa in atto dall’Iran.
Majidi proviene da un contesto complesso come quello del Kurdistan, di cui spesso ci dimentichiamo…
Maysoon Majidi ha tutte le caratteristiche di quelle categorie umane che ci interessano «a intermittenza». Lei nello specifico è sia curda che attivista per le donne iraniane. Siamo stati tutti solidali e contenti quando i curdi combattevano contro l’Isis e poi ce li siamo dimenticati, solo perché il terrorismo islamico in questo momento non è la minaccia più allarmante in Europa. Ma loro non hanno mai smesso di combattere, come le iraniane non hanno smesso di scagliarsi contro il regime. Ci eravamo innamorati di loro, ma quando arrivano in Italia chiedendo asilo le sbattiamo in galera.
Cosa si può fare per sensibilizzare di più rispetto alla violenza che subisce chi cerca rifugio in Italia?
Bella domanda! Come fare non lo so, di sicuro è un problema annoso che non nasce con questo governo, purtroppo l’opinione pubblica che vediamo oggi è frutto di un discorso sbagliato sia della destra che della sinistra. La destra ha sostenuto sempre le stesse ricette repressive, la sinistra a partire da un’ideale internazionalista è arrivata prima a parlare di controllo dei flussi e poi di rimpatri, spostandosi sempre più a destra, e così anche il baricentro del discorso pubblico è cambiato. Certo, con questo governo siamo arrivati a livello di disumanizzazione mai visti. Leggevo la reazione di Salvini allo scippatore investito e ucciso: mi sembra assurdo che un ministro possa dire qualcosa del genere.
Lo scafista viene visto poi come il responsabile delle traversate, ma la realtà è spesso più complessa.
Nell’opinione pubblica c’è grande confusione, si è creata quest’immagine dello scafista come se fosse un trafficante senza scrupoli mentre sono quasi sempre dei poveracci, capri espiatori di chi davvero lucra su tutto questo.
La comunità artistica in Italia dovrebbe prendere la parola per la liberazione di Maysoon Majidi?
Di sicuro se tutti quegli artisti, attori, personaggi che durante le rivolte iraniane si tagliavano le ciocche di capelli, insomma se tutti coloro che hanno espresso solidarietà per quel movimento prendessero la parola, questo potrebbe di certo aiutarla. Ma io penso sempre che questi casi più eclatanti dovrebbero funzionare come catalizzatori per innescare un dibattito che arrivi a cambiare la legislazione sull’accoglienza.
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