Visioni

Tornare al cinema, ma dietro ai banchi

Tornare al cinema, ma dietro ai banchiUna scena da «Mamma Roma» di Pier Paolo Pasolini (1962) – foto di Divo Cavicchioli

Bussole Una riflessione a più voci sul senso della critica oggi, in rapporto al suo «oggetto filmico» in mutazione. Un radicale restringimento, un ruolo pedagogico da sperimentare, una cultura nuova

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 25 giugno 2024

Il cinema così come lo si fa e lo si vede e lo si critica è il molto poco che resta dopo un cambiamento radicale, la sua mutazione essendo la più radicale nel campo dello spettacolo in rapporto per esempio con il teatro, con la musica e con la fotografia, ma forse parallela, curiosamente, con la pittura che la sua funzione sociale l’ha persa da molto più tempo.
Nulla è mai eterno nel mondo dell’espressione artistica e, soprattutto, nel caso di un’arte così legata alla tecnica come è stato il cinema – dal muto al sonoro al fallito tentativo della terza dimensione. Nel sistema capitalistico, i vecchi saggi ci hanno messo in guardia: è un sistema in cui i figli divorano i padri appena possono, per essere messi a loro volta nel cantone da nuove invenzioni, da nuovi investimenti, da nuovi mercati. Da nuovi padroni, peraltro via via più abili e forti, più spietati. Il cinema così come noi abbiamo potuto conoscerlo nel corso del ventesimo secolo non c’è più, e quel che ne resta può anche far ridere – confrontando i suoi con quelli di un tempo, con le sue sale di prima, seconda e terza visione e con le sue arene estive e le sue sale parrocchiali, e perfino, un tempo, con i suoi festival dell’Unità sponsorizzati dall’Urss…

Il cinema era «l’arte del XX° secolo» dicevano allora i registi e i critici, ma non lo è più del XXI°. Il mondo gira, secondo alcuni si sta avviando verso la fine; e il cinema non vi ha più un peso e un’influenza, non riguarda più le masse e il loro bisogno di conoscenza e di sogno, anche se ogni tanto i tycoon hollywoodiani provano ancora a illuderci, peraltro con prodotti di cattiva pedagogia, di interesse soprattutto politico-manipolatorio (vedi Oppenheimer).
Il cinema non ha più un peso, non riguarda più le masse e il loro bisogno di conoscenza e di sogno, anche se ogni tanto i tycoon hollywoodiani provano a illuderci
In tutto questo, qual è il peso residuale, il ruolo della critica? La funzione mediatrice su cui è nata e cresciuta – di informazione, di discussione – lascia aperta, anche se estremamente ridotta – la prima funzione, quella giornalistica, anche se la scarsità dei prodotti (con le conseguenze per esempio di un divismo residuale, minimale) riduce il suo peso di molto anzi moltissimo. Quella critica ne è stata perlopiù travolta e assorbita, in una misera marginalità «fanzinara», con le povere sopravvivenze di pochi festival (solo due quelli che ancora spingono qualche giornale e qualche tv a inviare dei corrispondenti, e più per l’informazione che per la critica).

La vera novità è stata quella universitaria, dove i critici più portati hanno trovato uno spazio e uno stipendio, adeguandosi alle (brutte) regole ivi in uso in fatto di carriera. E di metodi di insegnamento. E non bisogna ovviamente dimenticare le fanzine da computer, per i nostalgici del cinema di una volta e per gli instancabili grafomani e chiacchieroni da internet. No, la critica cinematografica ha oggi spazi davvero piccoli, come conseguenza del ridotto interesse del cinema, dei film.

UN CAMPO di azione su cui i critici vecchi e nuovi potrebbero ancora esercitarsi – ma si guardano dal farlo e dal pensarlo – è quello della scuola. Se il cinema (i suoi classici, i suoi film storicamente rappresentati e rilevanti, i suoi capolavori ma anche i film che hanno segnato un’epoca, la storia del costume) venissero proiettati nelle scuole – sia quelli che servono ad allargare le idee, a confrontarsi con la storia e con i più acuti dei problemi sociali, ma anche con i temi più delicati e su cui sarebbe bene che gli studenti ragionassero. Film scelti in rapporto all’età degli spettatori, diciamo dai disegni animati ai classici delle avanguardie e del documentario sociale ai «classici» del cinema più libero e anche più comunicativo e istruttivo sulla storia e sulle società – la formazione dei nuovi arrivati ne sarebbe molto arricchita, e i critici così poco occupati di oggi ritroverebbero un ruolo sociale non indifferente.IL FUNZIONARIATO pedagogico odierno non mi pare tra i più vivaci e propositivi (stiamo parlando dell’agonia del cinema, ma bisognerebbe anche parlare dell’agonia della pedagogia!), e ovviamente non è diverso il grado di vitalità del funzionariato statale da quello della cultura contemporanea, appiattita da e dal dentro di una bassa competizione politica e, socialmente, dentro una generale «ceto-medizzazione» del paese. Ma proprio per questo una funzione pedagogica del cinema sarebbe benvenuta – per aiutare i nuovi arrivati a capire in che mondo vivono e quale la sua storia, a vederne le ragioni e le negative come le positive, e anche il fascino, la bellezza, le potenzialità. A diventare da spettatori protagonisti.
A questo potrebbero ancora servire i critici cinematografici entrando nella scuola, e facendosi inoltre una cultura anche in campo pedagogico.

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