Economia

Torna l’incubo Mes. Contro la riforma l’Italia ora resta sola

Giorgia Meloni e Gianfranco Giorgetti Foto AnsaGiorgia Meloni e Gianfranco Giorgetti – Ansa

Sballati La Corte costituzionale tedesca boccia il ricorso contro il nuovo Meccanismo europeo di stabilità. Una grossa grana per Meloni

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 10 dicembre 2022

Maledetto Mes! Non c’è governo che non si sia trovato nei guai con quel Fondo Salvastati che molti, nel Palazzo, solo a nominarlo fanno gli scongiuri. Il Mes si porta dietro l’ombra della Grecia, dei memorandum, dei commissariamenti, delle ristrutturazioni del debito. Persino quando, come nell’era Covid, il prestito di 37 mld per la sanità sarebbe arrivato a condizioni irripetibili per vantaggiosità è bastato il dannato nome a impedirlo. Data la situazione della sanità oggi non è che sia stata proprio una buona idea. Ora però non si tratta di accedere a un prestito ma di sottoscrivere una riforma che nel giro di pochissimo tempo sarà tenuta al palo solo dalle resistenze italiane.

I GUAI PER LA MAGGIORANZA di centrodestra sono certi. Per la Lega e per FdI, e all’opposizione per il M5S, il no a qualsiasi cosa olezzi di Mes è una bandiera che non si può ammainare. Punteranno i piedi più di come non si può. Altrettanto sicuro è l’esito del dramma: su 19 Paesi dell’euroarea, 17 hanno già firmato. Presto, dopo la sentenza emessa ieri dalla Corte costituzionale tedesca, arriverà la diciottesima firma. L’ipotesi che l’Italia, nonostante i guai con Bruxelles per i ritardi sul Pnrr, blocchi da sola una riforma accettata da tutti gli altri Paesi rasenta l’inconcepibile.

KARLSRUHE HA RESPINTO il ricorso che bloccava la ratifica della riforma del Mes con quattro mesi di anticipo sui tempi previsti e con una formula che chiude la discussione: «I ricorrenti non sono riusciti a dimostrare che uno degli accordi di modifica potrebbe portare a un trasferimento di poteri sovrani al Mes o alla Ue». Viene così a cadere uno dei due appigli a cui si attaccava la maggioranza, grazie a una mediazione di Giorgetti, per eludere almeno il problema. Una mozione rinviava tutto a dopo la decisione della Corte tedesca e alla riforma dei trattati Ue. Il primo alibi era solido, essendo impossibile procedere senza Berlino. Il secondo lo è molto di meno: si tratterebbe di bloccare per un paio d’anni una riforma accettata da tutti gli altri.

La premier e il ministro dell’Economia sono consapevoli di non avere scelta. Da palazzo Chigi fanno notare che qui non si tratta di chiedere il prestito ma solo di vistare una riforma e che comunque è un impegno che l’Italia ha già assunto. Argomenti da spendere in quello che sarà presto un dibattito incandescente ma in sé fragili: la riforma rafforza davvero la governance tecnica del Mes rispetto a quella politica della commissione e rende più incombente il rischio di dover ristrutturare preventivamente il debito in caso di richiesta di prestito. Però a pesare non saranno le valutazioni sui vantaggi e soprattutto sugli svantaggi potenziali delle nuove regole per l’Italia. Sarà l’impossibilità di schierarsi contro tutta la Ue, tanto più in un momento di particolare fragilità, quando i buoni rapporti con Bruxelles sono anche più del solito questione di sopravvivenza.

IL NODO DOVRÀ ESSERE sciolto in tempi piuttosto brevi. Ma la prima urgenza è licenziare la manovra entro dicembre. Lo scontro nella maggioranza è in corso e proseguirà. Al momento il fronte più incandescente è quello dell’aumento delle pensioni minime sino a 600 euro: Fi insiste, la Lega frena. Durigon promette che entro la legislatura si arriverà ai sospirati 600 euro. Una festa. Tutti d’accordo invece nell’eliminare il bonus da 230 milioni per i consumi culturali dei diciottenni. Quei soldi, stabilisce un emendamento firmato dalle tre forze di maggioranza, devono andare ai fondi di sostegno per lavoratori dello spettacolo, dell’editoria e della cultura.

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