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Torna in auge il nucleare, ma fissione o fusione resta fuori dai tempi

Torna in auge il nucleare, ma fissione o fusione resta fuori dai tempiUna replica di bidone per le scorie nucleari – Ap

Dubai Spacciato per energia innovativa e pulita per non risuscitare gli spettri di Chernobyl e Fukushima. Meloni punta sulla fusione come «soluzione a tutti i problemi energetici», ma al momento è un progetto di lunghissima gittata

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 13 dicembre 2023

In assenza di chiarezza sull’uscita dai combustibili fossili, la Cop28 rischia di passare alla storia come quella del rilancio dell’energia nucleare. Uno dei pochi accordi ufficiali firmati alla Cop impegna ventidue Paesi a triplicare la capacità produttiva di energia nucleare di qui al 2050.

I governi firmatari invitano anche le istituzioni finanziarie internazionali a «fornire sostegno economico all’energia nucleare». Nel quasi tutti gli Stati europei che ne fanno largo uso, Francia in testa. Questo suggerisce che l’accordo peserà anche sulle strategie continentali verso la transizione ecologica. Pure nella bozza di documento finale della Cop28 in discussione il nucleare appare tra le fonti energetiche «con zero o scarse emissioni», da incentivare accanto a quelle rinnovabili.

Il governo italiano non poteva firmare l’impegno dei ventidue, non avendo mai discusso in patria il riavvio di un programma nucleare. Intervenuta a Dubai, tuttavia, Giorgia Meloni non ha voluto chiudere le porte all’uranio: «se ci sono evidenze che si possa avere un risultato positivo sono disposta a parlarne». E ha aggiunto che «la grande sfida italiana» è la fusione nucleare «che potrebbe essere la soluzione domani di tutti i problemi energetici». Anche il ministro dell’ambiente Gilberto Pichetto Fratin si è mostrato possibilista: «lo Stato non realizzerà reattori, saranno eventualmente i distretti industriali o le singole aziende energivore a dotarsi di piccoli reattori modulari di quarta generazione».

Alla Cop28 tutti, Italia inclusa, si sforzano di presentare l’energia nucleare come una tecnologia innovativa per non risuscitare gli spettri di Chernobyl e Fukushima. Spaventano anche i costi delle centrali di ultima generazione: quella costruita a Okiluoto (Filandia) e accesa nel 2023 è costata oltre otto miliardi di euro, il quadruplo del previsto. Il nuovo nucleare invece viene presentato come piccolo e sostenibile. La sigla-chiave è «Smr», da Small modular reactors o «mini-reattori modulari», non a caso citati più volte nell’accordo di Dubai e anche da Pichetto Fratin. Vale dunque la pena capire di cosa si parla.

Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica rientrano in questa definizione gli impianti che producono meno di 300 MW di energia elettrica. Non piccolissimi dunque: tre dei quattro impianti nucleari italiani dismessi oggi apparterrebbero alla categoria. Ma la dimensione è solo uno degli aspetti. «Con il nucleare tradizionale si tende a massimizzare le dimensioni perché il costo, le autorizzazioni necessarie e l’impatto sul territorio sono tali che lo sforzo vale la pena solo per produzioni molto elevate» spiega Silvia Kuna Ballero, giornalista scientifica e autrice di «Travolti da un atomico destino. Perché non ci fidiamo del nucleare» (Chiarelettere, 2022). «I minireattori invece sarebbero impianti più piccoli, progettati in modo relativamente indipendente dal sito di destinazione e più standardizzato allo scopo di diminuire costi, impatto e rischi per la sicurezza. Questo permetterebbe di costruirli a distanza minore dal luogo in cui l’energia prodotta viene sfruttata». In più, i futuri mini-reattori vengono definiti «di quarta generazione» perché prevedono innovazioni tecniche che ne aumentano l’efficienza.

Il problema è che sono tecnologie ancora allo stadio sperimentale e i soli in costruzione (in Cina, Argentina e Russia) sorgeranno all’interno di centrali nucleari tradizionali, senza i vantaggi sbandierati dai loro fautori.

La fusione nucleare, la «grande sfida» di Meloni, punta invece a generare energia fondendo nuclei di deuterio e trizio anziché scindendo quelli di uranio come nei reattori esistenti. Rispetto al nucleare tradizionale comporta rischi di sicurezza assai inferiori e produce scorie che rimangono radioattive solo per poche decine di anni (non migliaia come i rifiuti da fissione). Tuttavia, quando Meloni presenta la fusione nucleare come «soluzione a tutti i problemi energetici» è come se tirasse la palla in tribuna. Al momento è un progetto di lunghissima gittata sui cui tempi di realizzazione nessuno scommetterebbe. Il reattore sperimentale a fusione Iter, progettato all’inizio degli anni 2000, ha visto moltiplicarsi i costi (da cinque a venti miliardi di euro) e i tempi di realizzazione.

Secondo le ultime stime, i primi esperimenti con deuterio e trizio a Iter inizieranno alla fine degli anni ‘30 e prima di vedere in funzione un reattore su scala industriale servirebbero altri decenni di ricerca e sviluppo. Troppi, per i tempi stretti concessi dalla crisi climatica.

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