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Quelle domande scomode che i fautori del nucleare evitano

Quelle domande scomode che i fautori del nucleare evitanoCentrale del Garigliano – Ansa

Commenti Il pericolo di una disfida tra i rigidi, antieconomici e inquinanti impianti nucleari e le energie rinnovabili. Con il rischio per il paese di rinviare la decarbonizzazione

Pubblicato più di un anno faEdizione del 11 maggio 2023

Ci sarà pure un motivo per il quale la generazione elettrica complessiva da nucleare dal 18% del 1996 è scesa al 10% del 2021 (Iea, World Energy Outlook 2022)? Qualsiasi discussione sul nucleare deve preliminarmente dare risposta a questa e ad altre domande. Soprattutto dopo l’approvazione del Parlamento di una mozione sul nucleare. Un atto propedeutico per un eventuale dispositivo normativo che lascia ancora dubbi e perplessità. La ragione delle necessarie domande è semplice: per non ritrovarsi in una incresciosa ed assurda competizione con le rinnovabili sugli investimenti necessari per la decarbonizzazione, che prevede impegni, come noto, già al 2030.

Prima di tutto di quale tecnologia si parla, con un ruolo dell’Italia tutto da reinventare attraverso partnership internazionali (quali?) per un know-how perduto dopo l’esito di due referendum tranchant. E’ necessario anche sapere l’ammontare dei finanziamenti necessari, in termini di prezzo dell’energia prodotta e del costo di realizzazione, che per il nucleare cresce all’aumentare della taglia.

I mini-reattori (quando disponibili, pur sempre di 3-400 megawatt) hanno la necessità di individuare più siti sul territorio, cosa molto improbabile in un Paese come l’Italia. Occorre chiarezza anche per i tempi di realizzazione, allo stato attuale assolutamente incompatibili con la decarbonizzazione. Se si sta parlando di reattori di cosiddetta quarta generazione non è al momento possibile quantificare costi e tempi in quanto è ancora solo una tecnologia sperimentale con pochi prototipi funzionanti. Più verosimilmente le proposte potrebbero riguardare reattori di terza generazione plus Epr che annoverano oggi quattro reattori di grande capacità (1,6 GW) in tre impianti diversi, anche qui con costi e tempi elevati.

Attualmente, e questo è bene ribadirlo pubblicamente, il confronto dei costi con le rinnovabili è a tutto vantaggio di queste ultime. Lazard e Iea stimano un valore del fotovoltaico utility scale molto più competitivo (valori medi 40 $/MWh contro 165 $/MWh, cioè quattro volte di meno).

Anche considerando la presenza di sistemi di accumulo per il fotovoltaico, si ha un costo del MWh massimo pari a 120 $, ancora inferiore a quello del nucleare. Tale valore può comunque essere ridotto già oggi sfruttando diverse soluzioni di accumulo energetico non solo legate alle batterie elettriche ma riguardanti tecnologie innovative del pompaggio, dell’idrogeno e dell’accumulo termico. La soluzione nucleare è quella comunque meno adatta a stabilizzare la rete a causa della sua intrinseca rigidità a modulare la potenza.

Ancora, come affrontare il tema dell’inquinamento. La tassonomia europea considera il nucleare una fonte verde, ma anche qui si chiede trasparenza. Ricordiamo che uno dei punti inderogabili del principio di non arrecare danno all’ambiente Dnsh per qualunque tipo di intervento riguarda l’inquinamento dell’aria, dell’acqua ma anche del suolo. Dal punto di vista della riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dalla produzione di energia elettrica tra rinnovabili e nucleare, recenti studi hanno mostrato il confronto tra le due fonti energetiche.

Esaminando in modo sistematico modelli diversi caratterizzati da quote diverse di rinnovabili e di nucleare, e sulla base di ipotesi riguardanti scenari diversi di potenzialità di mitigazione nei confronti delle emissioni assegnate al nucleare e alle rinnovabili, i risultati delle analisi effettuate mostrano che le emissioni di CO2 sono inferiori nel caso delle rinnovabili.
Inoltre viene evidenziata anche l’esistenza di una associazione negativa tra lo sviluppo in un unico Paese degli impianti nucleari e di quelli che usano fonti rinnovabili, che di fatto si escludono a vicenda. Un Paese ad elevata penetrazione nucleare risulta a bassa diffusione di utilizzo di fonti rinnovabili, e viceversa. Inoltre, la vicenda del deposito delle scorie radioattive come è andata a finire? E’ stata fatta una mappa per i siti delle ipotetiche nuove centrali? Che procedura mettere in campo per superare l’ostacolo dei referendum? Risposte a domande senza ovviamente entrare nel mondo dell’iperuranio, fatto di reattori a fusione, di quarta generazione o microreattori modulari.

Governo e Parlamento farebbero bene a rispondere preliminarmente a queste domande, anche perché il futuro del nucleare è limitato persino per l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) che all’atomo assegna uno scarso 10% per la generazione elettrica a livello mondiale, nulla di più di quanto si riscontra oggi.

Se non saremo tutti più che convinti in termini di costi, tempi e soluzioni, sarebbe ridicolo per il nostro Paese affrontare questa avventura – comunque marginale – al di fuori del perimetro di un necessario e fondamentale impegno in termini di ricerca applicata. Fino a quando non si avrà certezza delle fattibilità tecniche e dei costi, il ricorso al nucleare produrrà solo uno slittamento inaccettabile dei tempi di decarbonizzazione del nostro Paese.

*Prorettore alla Sostenibilità, Sapienza Università di Roma e Presidente del Coordinamento FREE

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