Tora, il buco nero d’Egitto: Hossam morto di tortura
Egitto La denuncia di Amnesty: un detenuto ucciso dopo un mese di isolamento nel famigerato carcere di massima sicurezza per prigionieri politici. Lì è detenuto da due mesi anche Ramy Shaath, esponente della sinistra egiziana ed ex consigliere di Arafat. Ma il mondo resta in silenzio: Macron invita al-Sisi come special guest al G7
Egitto La denuncia di Amnesty: un detenuto ucciso dopo un mese di isolamento nel famigerato carcere di massima sicurezza per prigionieri politici. Lì è detenuto da due mesi anche Ramy Shaath, esponente della sinistra egiziana ed ex consigliere di Arafat. Ma il mondo resta in silenzio: Macron invita al-Sisi come special guest al G7
Il carcere egiziano di massima sicurezza di Tora è un buco nero. Chi varca la soglia, sparisce. «È stata designata di modo che chi ci entra dentro non ne esce che da morto», così un ex guardia carceraria descrisse a Human Rights Watch la sezione Scorpion, o al-Aqrab, struttura di Tora dedicata all’isolamento. Il destino di Hossam Hamed: anche lui, da quel buco nero, ne è uscito da morto.
A DENUNCIARNE IL DECESSO è stata Amnesty International: il giovane egiziano era in isolamento dal 3 agosto scorso e sarebbe stato torturato. Come migliaia di prigionieri prima di lui: la tortura allo Scorpion è pratica usuale, quotidiana.
Da decenni Tora cancella le persone dal mondo esterno: nessuna visita della famiglia o dei legali per mesi, a volte anni, assenza pressoché totale di cure mediche e condizioni igieniche basilari, senza materassi per dormire ma tante botte che tengono svegli.
Come quelle che, dice Amnesty, ha preso Hossam, picchiato fino a morirne. Ora l’organizzazione internazionale chiede alle autorità egiziane un’inchiesta veloce e indipendente, sulla base di tre diverse testimonianze che raccontano di pestaggi mentre Hamed si trovava nella cosiddetta «cella di disciplina».
Lo si sentiva urlare, dicono le fonti, battere alla porta. A un certo punto è calato il silenzio. La cella è stata aperta, il prigioniero era morto.
IN EGITTO IL TRATTAMENTO disumano dei detenuti, soprattutto se politici, è il segreto di pulcinella. Nel mondo arabo il mukhabarat egiziano, i servizi segreti, sono noti per la loro ferocia. L’Italia lo ha scoperto con l’omicidio di Giulio Regeni, ucciso dalla violenza di Stato.
Eppure era proprio qui, al Cairo, che l’Onu aveva pensato di tenere la sua conferenza sulla tortura, per poi cambiare idea qualche giorno fa sulla scia di proteste globali e locali.
«Le forze di sicurezza egiziane hanno una spaventosa storia di scioccante brutalità e totale impunità», dice Magdalena Mughrabi, vice direttrice di Amnesty per Medio Oriente e Nord Africa. Impunità condivisa con i vertici politici che, a fronte del più violento regime della storia recente egiziana, restano pienamente parte del consesso internazionale.
Hossam non è il solo: sono tre i prigionieri morti in custodia da luglio, l’ultimo Omar Adel dopo soli cinque giorni di detenzione. Sparito nel buco nero di Tora.
ED È A TORA che da quasi due mesi è detenuto Ramy Shaath. Ieri la procura ha chiesto altri 15 giorni di detenzione. È stato arrestato con altri noti esponenti della sinistra egiziana (giornalisti, avvocati, ex deputati) nelle retate che hanno decapitato il neonato movimento Speranza.
Per Il Cairo – è così che l’ha spacciato – una rete di sostegno economico ai Fratelli musulmani. Ma i suoi riferimenti politici sono opposti: un movimento laico, di sinistra e ispirazione nasseriana. Tra loro c’era anche Ramy Shaath, portato via in un violento raid il 5 luglio scorso.
Palestinese-egiziano, 48 anni, figlio di Nabil, ex ministro dell’Olp, Ramy è stato consigliere di Arafat. Si dedica da decenni della promozione del diritto all’autodeterminazione palestinese e nel 2011 ha aderito alla rivoluzione di Tahrir, prendendo parte alla creazione del partito el-Dostour.
Fondatore del Bds Egitto, la campagna per il boicottaggio di Israele, non può che rappresentare una minaccia alle politiche del presidente al-Sisi. Laico, di sinistra, denuncia i rapporti costanti e acritici del Cairo con Tel Aviv come la repressione istituzionalizzata del regime.
POCHI GIORNI FA la famiglia ha lanciato un appello: racconta della brutalità dell’arresto, della deportazione della moglie Celine, francese, della detenzione con altri 30 prigionieri in una cella di 30 metri quadrati. «Fino al rilascio di Ramy riterremo le autorità egiziane responsabili della sua incolumità», scrive la famiglia.
Ma la sua voce rimbalza sul muro di cemento intorno Tora e su quello di gomma della comunità internazionale: mentre Celine è tenuta lontana dal marito, il presidente francese Macron ha invitato al-Sisi al G7 che si apre oggi a Biarrit come special guest. Il buco nero di al-Aqrab fa sparire le persone e la dignità del mondo.
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