Un minuto di silenzio per le vittime di Casteldaccia. Prima il lungo applauso per l’ingresso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. E poi gli interventi, anche questi più volte interrotti dagli applausi, contro l’imminente riforma della giustizia del governo Meloni. È così che, nell’imponente scenografia del teatro Massimo di Palermo, si è aperto il trentaseiesimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati. I giudici accorsi per la giornata inaugurale sono circa ottocento, poi ci sono le «alte cariche» (il presidente del Senato La Russa, oltre a Mattarella), il sindaco Lagalla, il governatore Schifani, l’arcivescovo, il viceministro della Giustizia Paolo Sisto. Che nel suo intervento ha ripetuto ossessivamente una parola: «imparzialità».

Perché un magistrato non deve solo possedere questa qualità sul lavoro, ma anche nella sua vita fuori dalle aule di giustizia«Il cittadino deve percepire che un giudice è imparziale». Come? Non è dato saperlo, ma, dice il viceministro, non c’è da fare chissà quali discussioni: «La giustizia non può né deve essere terreno di scontro». Ovvero: il governo può picchiare e smembrare la giurisdizione a suo piacimento, e i giudici non devono fiatare, altrimenti qualcuno potrebbe percepire che non sono imparziali. Già, l’imparzialità. Il magistrato come la moglie di Cesare, si dice, deve essere «al di sopra di ogni sospetto», anche se il significato dell’affermazione è stato rovesciato ormai da diverso tempo dal famoso cittadino di Petri e Volonté, poco sospettabile ma molto colpevole.

Il refrain dell’imparzialità, ad ogni modo, va avanti da mesi, cioè da quando la giudice di Catania Iolanda Apostolico ha disapplicato il decreto Cutro e da lì è stata vittima di una pesante campagna di delegittimazione (partita dal vicepremier Matteo Salvini) perché anni fa aveva partecipato a una manifestazione davanti alla nave Diciotti. Anche Schifani, con il suo consueto tono felpato, aveva parlato poco prima di «neutralità dell’apparenza», ma è stato Sisto a dover fare il grosso del lavoro, e cioè parlare ai magistrati di una riforma che non vogliono, in attesa dell’arrivo a Palermo di Carlo Nordio in persona, che interverrà questa mattina alle 9 e 30. E se già ieri ci sono state scintille, oggi la situazione potrebbe diventare ancora più calda. Il clima iniziale di apparente fair play, con i magistrati che non hanno emesso nemmeno un bisbiglio durante la tirata di Sisto, è stato interrotto dall’intervento del giovane presidente dell’Anm palermitana, Giuseppe Tango, che quando ha parlato di «riforme che mirano direttamente o indirettamente a scardinare i principi costituzionali di indipendenza e autonomia» è stato sommerso dagli applausi della platea. Infine la relazione del presidente Giuseppe Santalucia, l’ultima del suo ultimo mandato.

«L’indebolimento troverà compimento una volta che il pubblico ministero, separato dalla giurisdizione e collocato in un ideale ma ad oggi sconosciuto spazio di autonomia e di contestuale estraneità all’area dei tradizionali poteri dello Stato, sarà in breve attratto nel raggio di influenza del potere esecutivo, che mal tollera di non poter includere l’azione penale nei programmi di governo», ha detto mettendo nel mirino il riassetto della giurisdizione che a stretto giro di posta finirà in consiglio dei ministri. E ancora: «Non appena l’orizzonte si amplia, nel tentativo di prendere parola su temi che interessano il mondo della giustizia anche più di qualche aspetto della carriera intesa in senso burocratico, viene revocata in dubbio la legittimazione ad intervenire, gettando l’ombra pesante della faziosità». Tutto questo sotto lo sguardo di Mattarella. E oggiil copione non sarà dissimile. Davanti a Nordio.