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Ticket a Venezia, contestato Brugnaro

Ticket a Venezia, contestato BrugnaroLe proteste a Venezia contro l'introduzione del ticket d'ingresso in città

Città Studenti, comitati e cittadini contro il sindaco. La posta in palio è il modello turistico della città lagunare

Pubblicato circa un anno faEdizione del 13 settembre 2023

L’hanno detto in tutti i modi, i cittadini: «Venezia non deve diventare un museo, in cui si paga il biglietto d’entrata». Eppure, così sarà. È stata approvata ieri – in un consiglio comunale accesissimo, con la partecipazione di oltre un centinaio di cittadini – la delibera che introduce il ticket d’accesso in forma sperimentale per 30 giorni. Dal prossimo aprile fino ad agosto, nei fine settimana e ponti più caldi, chi vorrà arrivare in centro storico dovrà prenotare e pagare un contributo di cinque euro, sia con il proprio mezzo che con i mezzi pubblici.

I CITTADINI non ci stanno e da anni lo stanno dicendo a gran voce. «Il ticket non ci salverà, vogliamo case, lavoro, affitti bassi» gridano i giovani dei collettivi universitari e studenteschi, sull’uscio di Ca’ Farsetti, sede del Comune. «Un modo per battere cassa – sostiene Ruggero Tallon, del centro sociale Morion – Venezia, ancora una volta è una gallina dalle uova d’oro. La nostra città viene usata come un pozzo di petrolio, ma il liquido stavolta è il nostro sangue, c’è chi crede che a Venezia si possa vivere e vuole restare. Ma non si sta facendo nulla per permetterlo». Che il principio di fondo per cui si debba pagare per venire a Venezia sia sbagliato, lo dice anche il capogruppo del Pd Giuseppe Saccà. «A noi interessa la gestione dei flussi turistici, non mettere una tassa d’ingresso, altre strade sarebbero possibili, se solo voleste».

A FAR SCUOTERE la testa oltre all’obbligo di pagamento – da cui sono esenti i residenti in Veneto, gli studenti, i lavoratori, i ragazzi fino a 14 anni, chi si reca a Venezia per visite mediche o manifestazioni sportive – è anche la mancanza di una soglia massima. «Che senso ha, allora? Di cosa stiamo parlando?» si chiedono le minoranze e i cittadini, perplessi dal fatto che una misura pensata per mettere un freno all’overtourism non abbia fissato un numero-limite di visitatori che la città può accogliere. Per questo, in molti hanno puntato il dito contro l’amministrazione comunale e il sindaco Luigi Brugnaro, considerando la delibera come un intervento fatto in fretta e furia per accontentare l’Unesco: un mese fa un report delle Nazioni unite ha fatto scattare l’allarme di un possibile ingresso della città nella blacklist del patrimonio Unesco a rischio. «La Serenissima è minacciata dall’innalzamento delle acque e dall’overtourism» ha dichiarato Lazare Eloundou, direttore del Patrimonio mondiale dell’Unesco. In questi giorni i vertici dell’Unesco sono riuniti a Riad. Ta i punti dell’agenda, anche la decisione se far rientrare o meno la città d’acqua nella lista di siti a rischio, insieme a Kiev e Leopoli. Secondo i consiglieri di opposizione e i residenti, la corsa all’approvazione è un modo per mostrare all’organizzazione che qualcosa si sta facendo per il bene della città, del suo ecosistema fragile e dei suoi cittadini, sempre più pochi.

PER IL SINDACO Brugnaro, però, l’Unesco non c’entra. «Bisogna dimostrare al mondo che, per la prima volta, qualcuno sta facendo qualcosa – sostiene – C’è sempre qualcuno che dice che non basta, ma poi nel concreto non fanno nulla». Con chi protesta non solo contro il ticket ma contro la sua politica, accusandolo di «aver desertificato la città», è meno pacato: «Disturbare così è un atto fascista» dice, per poi aggiungere: «Vigliacchi, non avete coraggio, siete soltanto capaci di urlare, per fortuna la gente non vive di questa rabbia, per fortuna nemmeno le opposizioni la pensano come voi». Le minoranze prendono le distanze, dal Pd ai Verdi e alle liste civiche. «Siamo stati contenti di aver visto il sindaco in Consiglio – dice il capogruppo del Pd, Giuseppe Saccà – ma fin dall’inizio ha tenuto un atteggiamento provocatorio. Non dovrebbe usare a caso parole del genere». Scontenti anche gli studenti, che ricordano come siano gli stessi che solo lo scorso maggio si sono sentiti dire che se pagano 700 o 800 euro per una stanza, non meritano di far parte della classe dirigente, di laurearsi. Le loro opinioni sembrano non contare, così come quelle dei cittadini che, alla fine, vanno via. «Ce ne andiamo, ma continuiamo a lottare per la nostra città». In ballo non c’è solo il ticket, ma la concezione stessa che di Venezia.

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