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Thomas Mann, un salutare scompiglio in forma di eros

Thomas Mann, un salutare scompiglio in forma di erosErnst Ludwig Kirchner, «Paesaggio di montagna da Clavadel», 1925-1926

Grandi dialoghi/2 Spesso l’autore della «Montagna magica» affida alla dimensione colloquiale concetti problematici: qui, la scommessa è donare nuova vita al discorso amoroso: nello scambio tra il giovane tedesco Hans Castorp e la attraente russa Clawdia Chauchat, parlare in una lingua straniera, e persino «parler sans parler», consegna alle loro parole una trasognata ingenuità e un’audacia mercuriale

Pubblicato più di un anno faEdizione del 6 agosto 2023

Il 18 marzo 1921 Thomas Mann si concede nelle note del diario, per il solito così sobrie, un gioco di parole: «große Affaire, großes à faire». Sta pensando al dialogo tra Hans Castorp e Clawdia Chauchat nella Montagna magica, che intende scrivere in quella primavera, sapendo bene di affrontare un passaggio decisivo del romanzo. Perché già da qualche centinaio di pagine, dalle prime giornate trascorse al sanatorio, Hans era rimasto incantato dall’apparizione di quella giovane russa, Madame Chauchat. Per lei aveva accolto con segreta felicità il consiglio di Behrens, il direttore dell’istituto, che lo invitava a prolungare il soggiorno nella casa di cura. Una volta, nei mesi seguenti, a Hans era riuscito di ottenere da lei un saluto, e l’evento gli era apparso subito «un miracolo», mai aveva però trovato il modo di parlarle. Ed ecco che finalmente, la sera del Martedì Grasso, le può rivolgere la parola come in un sogno e, mentre è alle prese con un gioco di società, le chiede all’improvviso: «Non avresti per caso una matita?»

Il momento era stato preparato con cura: il motivo della matita, che apre e chiude il dialogo, era stato accennato qualche pagina prima, quando Hans, durante la cena, avrebbe voluto rispondere a un biglietto scherzoso che gli aveva inviato l’amico Lodovico Settembrini: «cercò nelle tasche una matita, non la trovò». E sebbene la frase finisse per passare quasi inosservata nella febbrile eccitazione di quella cena, lo stesso motivo aveva trovato più ampio sviluppo molte pagine prima, quando in Hans era riaffiorato un ricordo dei tempi del ginnasio: la felicità provata nel prendere in prestito una matita da un compagno di scuola a lungo osservato e ammirato in silenzio, la gioia nello scambiare con lui anche soltanto un paio di frasi senza seguito. Nella passione per la giovane russa riecheggiava dunque anche quell’esperienza, ma come fare affinché il colloquio così a lungo atteso non si spegnesse subito?

La nota con cui Mann nel diario riflette sul compito che lo attende, nell’oscillare tra due lingue, rivela un tratto essenziale della lunga conversazione tra Hans e Clawdia: il tedesco viene qui infatti progressivamente abbandonato a favore del francese. Già nell’incipit dei Buddenbrook, un breve scambio di battute andava dal tedesco al francese passando per il plattdeutsch al tempo ancora parlato nella Germania settentrionale. Mai però Thomas Mann si era spinto al punto di scrivere pagine intere in una lingua che non padroneggiava del tutto (tanto da dover ricorrere all’aiuto di alcuni amici, Bruno Frank e Joseph Chapiro, che avevano maggiore dimestichezza col francese). Proprio la possibilità di avvolgere pensieri e sentimenti in altre vesti, del tutto insolite per l’autore e il suo personaggio, dona loro una forza inattesa. Come ha evidenziato Luca Crescenzi nel ricchissimo commento al romanzo nell’edizione dei Meridiani, ciò permette che tra i due si dipani un «dialogo onirico».

Una simile atmosfera trovava qualche riscontro nell’insolito procedere dell’autore, che nel diario osserva come il lavoro avanzi «non senza ispirazione», attraverso un «improvvisare onirico e mattinale». Di qui si sviluppa una conversazione che, pur all’interno di un’opera costellata di grandiosi momenti dialogici, ha un valore eccezionale. Assai spesso Mann si dimostra infatti abile nel tradurre in forme colloquiali alcune ponderose questioni: per esempio nel dialogo sulla condizione dell’artista tra Tonio Kröger e l’amica Lisaweta, oppure nella memorabile conversazione sulle origini della vita, che si svolge in un treno di notte tra Felix Krull e il professore Kuckuck; e, ancora, per tornare alla Montagna magica,  nella chiacchierata di Hans con il dottor Behrens attorno allo spirito della medicina, oltre che – naturalmente – nelle dispute sui massimi sistemi tra Naphta e Settembrini. Ma nel dialogo tra Hans e Clawdia si tratta in primo luogo di donare nuova vita al discorso amoroso. Ed è qui che la possibilità di parlare in una lingua straniera, la possibilità di «parler sans parler», come la definisce lo stesso Hans, si fa decisiva, concedendo alle parole una sorta di trasognata ingenuità e una mercuriale audacia.

Non che questo «dialogue au bord du lit» (così è definito ancora nei diari) sia privo di profonde implicazioni storico-culturali. In una lettera a Ernst Bertram, Mann osserva come la scelta formale di scrivere in francese fosse qui un «singolare contrasto con il contenuto», e cioè con la cultura e il carattere dei tedeschi, che a più riprese vengono messi a tema nel dialogo. Nelle parole di Hans riecheggia infatti una tradizione che amava avvicinare «l’amour et la mort», e la sua deferenza verso quella «simpatia per la morte» di ascendenza romantica lo caratterizza fin dall’inizio e costituisce il grande problema della Montagna magica.

Il dialogo condotto in francese tra un giovane tedesco e una giovane russa si fa, allora, anche esercizio di quell’ironia tipica dell’intera opera di Mann. E contribuisce a mettere in questione la rigidità delle identità nazionali, un momento decisivo in quel processo di revisione a cui Mann va sottoponendo le proprie idee riguardo alla Germania e alla sua presunta alterità rispetto alle democrazie occidentali, che aveva trovato espressione nelle Considerazioni di un impolitico. L’eros porta insomma un salutare scompiglio negli schemi geoculturali che lo stesso Thomas Mann aveva tracciato qualche anno prima.

Lo suggeriscono le ultime battute del dialogo. Mentre la serata ormai volge al termine, quando Clawdia gli accarezza «i corti capelli sulla nuca», Hans dà voce al proprio desiderio con parole che intrecciano la tradizione metafisica del romanticismo tedesco all’immediata simpatia che suscita il contatto tra i corpi.

La straordinaria dichiarazione d’amore in cui Hans, con anatomica acribia, descrive l’attrazione provata per il corpo di Clawdia è il risultato degli studi di argomento medico-anatomico condotti nei mesi precedenti, ma è anche il frutto della rinnovata attenzione che Thomas Mann dedica a Walt Whitman e al suo inno al «corpo elettrico». Il riferimento al poeta americano – che si farà esplicito l’anno successivo, quando nel discorso in favore della «Repubblica tedesca» Mann accomunerà Novalis a Whitman sotto le insegne di un eros repubblicano – gli risulterà decisivo per tentare di strappare la tradizione tedesco-romantica a un diffuso e retrivo nazionalismo. L’amorosa ammirazione per la «symétrie merveilleuse de l’édifice humain» è però anche decisiva affinché le parole di Hans non restino prive di effetto su Clawdia.  Pur lasciandolo solo nella sala, pronta a abbandonare il sanatorio l’indomani, dalla soglia ancora si rivolge a lui, e quasi a chiamarlo gli ricorda: «N’oubliez pas de me rendre mon crayon».

Il dialogo
Da: Thomas Mann, La montagna magica, a cura di Luca Crescenzi, traduzione di Renata Colorni, Mondadori «I Meridiani», 2010.


Hai un vestito nuovo disse lui per poterla contemplare, e si sentì rispondere:

Nuovo? Sei per caso un esperto delle mie toilette?

Non ho forse ragione?

Si, e vero. Me lo sono fatto fare di recente, da Lukaček, a Davos-Dorf. Lavora molto per le signore di quassu. Ti piace?

Moltissimo rispose lui, abbracciandola ancora una volta con lo sguardo e abbassando poi gli occhi. Vuoi ballare? aggiunse.

Tu vorresti? domando lei inarcando le sopracciglia, e lui rispose:

Lo farei se tu ne avessi voglia.

Sei meno coraggioso di quanto pensassi disse lei

(…)

Parlez allemand, s’il vous plait!

Oh, io parlo tedesco anche in francese. C’est une sorte d’etude artistique et medicale – en un mot: il s’agit des lettres humaines, tu comprends. E adesso, non vuoi ballare?

(…)

Parlavano sottovoce, tra le note del pianoforte. Stiamocene qui seduti, guardiamo come fosse un sogno. Devi sapere che per me e come un sogno stare seduto qui insieme a te… comme un reve singulierement profond, car il faut dormir tres profondement pour rever comme cela… Je veux dire: C’est un reve bien connu, reve de tout temps, long, eternel, oui, etre assis pres de toi comme a present, voila l’eternite.

Poete! disse lei. Bourgeois, humaniste et poete… voila l’allemand au complet, comme il faut!

Je crains, que nous ne soyons pas du tout et nullement comme il faut rispose lui. Sous aucun egard. Nous sommes peut-etre riottosi figli della vita, tout simplement.

Joli mot. Dis-moi donc… Il n’aurait pas ete fort difficile de rever ce reve-la plus tot. C’est un peu tard, que monsieur se resout d’adresser la parole a son humble servante.

Pourquoi des paroles? disse lui. Pourquoi parler? Parler, discourir, c’est une chose bien republicaine, je le concède. Mais je doute, que se soit poétique au même degré.

 

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