Visioni

«The Order», violenza e rivalsa dell’America profonda

«The Order», violenza e rivalsa dell’America profondaUna scena di "The Order"

Venezia 81 Il poliziesco di Justin Kurzel riprende una vicenda storica di suprematismo che rimanda al presente. Jude Law nei panni di Terry Husk si contrappone al protagonista Bob Matthews, la cui ideologia ha diversi punti di contatto con quella di J.D. Vance

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 1 settembre 2024

Robert «Bob» Matthews ha gli stessi occhi azzurri di J.D. Vance e come lui è un pezzo di quell’America hillbilly di cui ha sancito la narrazione nel suo fortunatissimo memoir, Hillbilly Elegy (Elegia americana, Garzanti) divenuto un manifesto politico per la nuova destra che parla di «proletariato bianco», del «popolo dimenticato dalle élite», di un successo che arriva senza l’aiuto di nessuno. Non è l’unica corrispondenza fra queste due figure, e nell’ideologia praticata da Matthews che fu protagonista col suo gruppo neonazista e suprematista di una serie di omicidi e di rapine nell’America degli anni Ottanta in nome della «purezza bianca» i riferimenti al presente americano, a ciò che si è coagulato intorno a Trump e alle sue promesse, all’assalto di Capitol Hill sono più che espliciti.

Jude Law a Venezia, foto Ansa

Justin Kurzel lo dichiara apertamente parlando del suo The Order – presentato ieri in concorso – che basato sul libro di Kevin Flynn e Gary Gerhardt The Silent Brotherhood torna a una vicenda accaduta negli Stati uniti reaganiani con un poliziesco classico, e la giustezza di una texture narrativa che a pochi mesi dalle elezioni ne declina l’ attualità. «Vista la situazione e la crescita di gruppi nazionalisti estremisti ovunque nel mondo è molto importante tenere in mente cosa può succedere se trovano spazio nella vita di un Paese» ha detto Kurzel ai giornalisti. «L’ideologia di persone come Bob Matthews è estremamente pericolosa, può facilmente radicarsi fra chi si sente invisibile».

Gli hillbilly, dunque, quel paesaggio americano familiare nell’immaginario che sulle pagine di Vance ha trovato una prima persona, e che nel suo apparire quasi un luogo comune afferma invece una realtà ben concreta. Matthews era nato in Texas negli anni Cinquanta, cresciuto in Arizona, aveva iniziato giovanissimo a fondare milizie antisemite e anticomuniste entrando nei gruppi suprematisti e neonazi come la National Alliance di Pierce e l’Aryan Nation di Richard Butler. Coltiva la terra nella fattoria col padre e impara a intuire le debolezze di quelli come lui e la loro rabbia. «Gli americani li chiamano white trash, io li chiamo vicini di casa, amici e familiari» – scrive Vance di quell’America bianca, cristiana, che celebra la famiglia, i figli, il patriarcato – «gattare» definisce oscenamente Vance con violenza le donne che non sono madri. Anche per Matthews i seguaci sono «i fratelli», lui adottò un figlio con la prima moglie, mettendone al mondo una seconda «biologica» con un’altra donna.

BUTLER E I SUOI NEONAZI però li saluta in fretta, troppe parole, troppa retorica, lui, Matthews, vuole passare all’azione rivoluzionaria . Recluta, ricicla denaro, organizza rapine per mettere in piedi un esercito e comprare armi, la tattica abituale. L’obiettivo è uccidere i nemici ma anche i bianchi che hanno tradito e attaccare il Congresso. Le sue leve sono frustrazione e rivalsa di chi vive male, di chi vede nelle sue promesse di una comunità e di essere felici, qualcosa in cui rifugiarsi e finalmente avere un posto al mondo.

«Siete degli inetti, avete sempre bisogno di prendervela con gli altri per questo, non sopportate la gioia altrui» grida nei microfoni alla radio in diretta Alan Berg, avvocato, giornalista, ammazzato brutalmente davanti a casa nel 1984 dal gruppo di Matthews, fra cui «l’ideologo» David Lane. È un bersaglio, è ebreo, rappresenta tutto quello contro cui combattono e soprattutto ha messo a nudo con estrema precisione una dinamica che li riguarda. Ma anche il bisogno del nemico non ha età, vale ieri come oggi, ed è di ogni fondamentalismo che si scaglia contro migranti, donne, persone lgbtq+, qui nella litania dell’usurpazione di una «purezza bianca» che dà ragioni e risposte.

«THE ORDER» inizia nella natura incantata dell’Idaho e in un piccolo paese bianco di casette proletarie tutte uguali, al gruppo però aderisce anche un ragazzo i cui genitori appaiono benestanti. Terry Husk (Jude Law, molto bravo) è un agente dell’Fbi che ha fatto diversi casini e si è trovato così in un posto sperduto a cercare di risolvere rapine in banca e attacchi a sexy shop. È lui che inizia a mettersi sulle tracce di Matthews (Nicholas Hoult), in quella parte d’America che lo conquista per la bellezza e insieme che è molto lontana da lui, dove c’è diffidenza per chi viene da fuori e si tende a coprire anche nelle istituzioni gente come Butler e la sua «chiesa». Sono ragazzi di lì, non possono fare male. Ma Matthews manipola, seduce, usa le persone, la sua guida è The Turner Diaries, manuale di guerra civile e testo fondatore per i suprematisti scritto da William Pierce il fondatore della National Alliance. Anche Husk usa la seduzione e nella linea di quel cinema americano della frontiera in cui c’è sempre un duello i due si riconoscono e si sfidano. Come va a finire Matthews ce lo dice la cronaca, muore nel 1984 mentre la polizia sta cercando di arrestarlo. Cosa è accaduto a The Order e simili invece ce lo mostra la realtà, stanno sempre lì, ben radicati e con maggiore potenza utilizzando le stesse tattiche.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento