Due fronti di attacco contro la riforma delle pensioni. Mentre all’Assemblée nationale i deputati erano al secondo giorno della discussione a tappe forzate imposta dal governo con la scelta di utilizzare l’articolo 47.1 (il limite di tempo è il 17 febbraio, poi il testo passa al Senato), nelle piazze è andato in onda il terzo round di manifestazioni. Una partecipazione agli scioperi minore di una settimana fa ma simile a quella del 19 gennaio (oltre un milione, ieri 757mila per il ministero, 2 milioni per la Cgt), e cortei meno potenti ieri, ma questa settimana la protesta è articolata su due giorni: la prossima giornata è sabato 11, scelta dai sindacati per dare la possibilità di manifestare anche a chi non può permettersi di perdere mezza giornata di lavoro. L’opposizione resta forte, più i giorni passano, più vengono discussi i punti della riforma, più il rifiuto aumenta o almeno resta costante, perché l’incomprensione cresce man mano che vengono svelati i dettagli, al di là del cuore della legge, portare l’età pensionabile dagli attuali 62 anni a 64 entro il 2030.

A PARIGI, LA PROTESTA è stata comunque consistente (400mila per la Cgt, 57mila per la Prefettura). Se il governo non ascolta, ha affermato il segretario della Cgt, Philippe Martinez, bisognerà «alzare il livello della lotta», con «scioperi più duri, più massicci, a oltranza». Ma ieri, in un’assemblea alla Gare de Lyon in mattinata i ferrovieri non hanno preso nessuna decisione sui prossimi scioperi, oltre i due giorni di movimento ieri e oggi. Non ci sarà sciopero in parallelo ai cortei di sabato, per non penalizzare le vacanze invernali. Laurent Berger, segretario della Cfdt (riformista), non propone «né blocchi, né violenze, solo un’opposizione chiara e forte a misure ingiuste». Per il governo sarebbe «una follia democratica restare sordi alla contestazione» sostiene Berger. Mentre un vento di contestazione si sta alzando nelle università di provincia, Rennes 2, Nantes o Besançon.

ALL’ASSEMBLÉE NATIONALE sono stati presentati 16.500 emendamenti, la maggior parte dalla Nupes. Il governo accusa la sinistra di ostruzionismo. Ieri, la prima ministra, Elisabeth Borne, ha ripetuto le ragioni del governo: il sistema per ripartizione, solidale tra le generazioni (i contributi dei lavoratori pagano le pensioni in corso) è squilibrato, ora ci sono 1,7 lavoratori per un pensionato e «se crolla, se dovessimo passare a un sistema per capitalizzazione, sarebbero i più modesti, le classi medie, a patirne, voi rifiutate la realtà, ignorate la demografia, non è un’opinione politica, il numero dei lavoratori attivi è in calo rispetto ai pensionati, se non facciamo nulla quali conseguenze? Più tasse, pensioni più basse, meno occupazione».

Lunedì è stata una giornata campale all’Assemblée nationale, con urla e scontri. Il ministro del lavoro, Olivier Dussopt (che è impantanato in un’inchiesta per “favoristismo” in un appalto nella cittadina di cui è stato sindaco) ha spostato i riflettori sulla questione di fondo del “lavoro”: la riforma «è la prima tappa per ripensare il nostro rapporto al lavoro, con un solo obiettivo, la piena occupazione». Ma le opposizioni rispondono sottolineando il bassissimo tasso di occupazione dei senior, che si troveranno così in un limbo, senza stipendio e senza pensione (e, con la recente riduzione della durata degli assegni di disoccupazione, anche senza reddito), oltre all’attenzione ai diritti per i lavori usuranti.

LA SINISTRA PROPONE alternative: soppressione delle esenzioni di contributi padronali concesse ampiamente alle aziende, far contribuire di più gli alti redditi e i proventi del capitale. Ma il governo rifiuta: per Borne, la proposta della Nupes significherebbe 110 miliardi di euro di tasse in più l’anno, mentre meno tasse è considerata da Macron la pietra miliare per favorire investimenti e occupazione. La riforma potrà essere bocciata al Parlamento? Borne non ha la maggioranza, ha bisogno del voto dei Républicains, che sono sempre più divisi e in conflitto intestino, da quando constatano che i loro residui elettori – concentrati in provincia – scendono con forza in piazza. Lr ha già imposto modifiche al testo di legge, a cominciare dal mantenimento dei 43 anni di contributi per chi ha iniziato a lavorare a 20 anni o prima, svuotando di fatto poco per volta il simbolo dei 64 anni.