Terroristi italiani rifugiati in Francia, Roma cerca di fermare il ricorso alla Cedu
Gli anni ’70 non finiscono mai. Almeno in Italia, l’unico paese del mondo in cui ancora, a mezzo secolo di distanza, appare impossibile affrontare la stagione del terrorismo fuori dalle […]
Gli anni ’70 non finiscono mai. Almeno in Italia, l’unico paese del mondo in cui ancora, a mezzo secolo di distanza, appare impossibile affrontare la stagione del terrorismo fuori dalle […]
Gli anni ’70 non finiscono mai. Almeno in Italia, l’unico paese del mondo in cui ancora, a mezzo secolo di distanza, appare impossibile affrontare la stagione del terrorismo fuori dalle aule dei tribunali. Ieri mattina, con la sola astensione del gruppo dell’Alleanza Verdi Sinistra, la Camera ha approvato una mozione presentata da Tommaso Foti (FdI) che impegna il governo «ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a fornire tutta la necessaria e dovuta assistenza ai parenti delle vittime dei reati commessi dai dieci terroristi italiani rifugiati in Francia, nella loro già annunciata intenzione di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo contro la decisione della Corte di cassazione francese». La storia è quella dei dieci reduci degli anni ’70 che in passato hanno trovato rifugio in Francia grazie alla dottrina Mitterrand e che, da un paio d’anni, l’Italia prova a riportare indietro per far loro scontare residui di pene comminate decenni fa. Tutti i ricorsi presentati davanti ai tribunali francesi, sin qui, sono stati respinti, malgrado le pressioni fatte in maniera anche molto esplicita dal presidente Emmanuel Macron in persona.
I familiari delle vittime del terrorismo, comunque, cercando di scavalcare il parere della Cassazione di Parigi, hanno deciso di presentare ricorso davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con il governo italiano che ha sì benedetto l’iniziativa ma allo stesso tempo ha anche raffreddato gli animi. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, commentando la sentenza della Cassazione dello scorso marzo, aveva messo già le mani avanti («Esiste la possibilità della Cedu ma non è consentito un ricorso da parte degli organi statuali, occorre semmai un’iniziativa da parte delle persone interessate») e anche la mozione di Foti si muove tra mille perifrasi a chiarire che, in ogni caso, questa mossa non rappresenta una nuova invasione di campo sulla giustizia francese. «Ferma restando l’intenzione di non voler interferire in questioni interne – si legge infatti nella mozione -, si impegna il governo a sensibilizzare le autorità francesi affinché esplorino ogni possibile soluzione, compatibile con il loro ordinamento e con la normativa eurounitaria sulla cooperazione giudiziaria in materia penale, per rispondere alla legittima richiesta di giustizia dei parenti delle vittime dei dieci terroristi italiani».
Le prospettive, ad ogni buon conto, sono a dir poco incerte: le motivazioni delle sentenze francesi appaiono solide e sono basate proprio su due principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo: il diritto a un equo processo (i dieci erano stati condannati in contumacia) e quello al rispetto della vita privata. Da quando sono arrivati in Francia, infatti, i rifugiati si sono integrati, hanno messo su famiglia, non hanno commesso più reati né hanno mai violato le condizioni poste dalla cosiddetta dottrina Mitterrand. Rivedere la loro posizione dietro richiesta di un governo sarebbe una violazione piuttosto grave dei diritti fondamentali.
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