È la madre di tutte le deindustrializzazioni nel Mezzogiorno. Il 24 novembre del 2011 Sergio Marchionne, amministratore delegato dell’allora Fiat, annunciò la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese, in provincia di Palemo, la seconda fabbrica più grande di auto nel Sud.

Da quel momento ogni governo che si è succeduto ha promesso di riaprire lo stabilimento con un «serio progetto industriale». Gli operai invece hanno visto undici anni di ammortizzatori sociali. Dai 1.500 in forza alla Fiat nel 2011, oggi ne sono rimasti solo qualche centinaio. Ma non hanno perso la dignità e la forza di combattere per il loro posto di lavoro e denunciare le nefandezze subite in questo lungo decennio.

Ieri, anche grazie alla Fiom, è arrivata la prima sentenza della giustizia italiana a chiarire le responsabilità. Il Tribunale di Torino ha condannato a sette anni l’imprenditore Roberto Ginatta per il crac Blutec, l’azienda che – finanziata in gran parte dallo stato – avrebe dovuto sfornare auto elettriche e ibride più varie altre soluzioni di componentistica dallo stabilimento di Termini Imerese.

A maggio 2016 in venti varcarono i cancelli dell’azienda tirati a ludico con il marchio Blutec ma già dopo pochi mesi il progetto si rivelò per quello che era: un castello di carta.

Per l’accusa Ginatta aveva dirottato 16 milioni di euro di contributi statali per l’operazione in un «investimento di stretto interesse della famiglia». Secondo i magistrati Ginatta non avrebbe mai avuto la volontà di realizzare i progetti. L’ex patron di Blutec era anche accusato di riciclaggio per aver investito parte dei proventi illeciti in altre divisioni del gruppo. Ginatta è stato condannato a risarcire, tra le parti civili, la Regione Siciliana, l’assessorato regionale delle attività produttive per 16 milioni di euro, la Fiom nazionale per 25 mila euro, la Fiom Palermo per 25 mila euro.

«Siamo certi che alla fine il fallimento del progetto Termini Imerese si rivelerà per ciò che è: figlio di una politica industriale schizofrenica e dell’inadeguatezza delle istituzioni che dovevano contribuire a realizzarlo – contestano gli avvocati di Ginatta – è stato il capro espiatorio ideale da dare in pasto all’opinione pubblica per alleggerire gravi responsabilità altrui».

«Si è concluso il primo grado del processo – commentano Simone Marinelli, coordinatore nazionale auto e Roberto Mastrosimone, segretario generale Fiom Sicilia che ha seguito tutta la vertenza dal 2011 – per la mancata reindustrializzazione del sito di Termini Imerese e per la sottrazione dei finanziamenti stanziati dal Mise e da Invitalia, nonchè per i danni che questo ha procurato soprattutto ai lavoratori. All’avvio del processo – spiegano Marinelli e Mastrosimone- la Fiom nazionale e la Fiom di Palermo si sono costituite parti civili in rappresentanza dei lavoratori del sito. La sentenza è frutto dell’ottimo lavoro svolto dall’avvocato Elena Poli che ha ricostruito la complicata vicenda. Quello di oggi- proseguono – è un passaggio di fondamentale importanza ma è necessario dare risposte concrete sul futuro dell’area industriale, accelerare la ricerca di investitori e riconvocare il tavolo al Mise e quello tecnico con la Regione e il ministero del Lavoro per dare un futuro occupazionale ai lavoratori di Blutec, a quelli dell’indotto e ai giovani del territorio», conclude la Fiom.