Terminata la tregua si riaccende la guerra tra El Burhan e Dagalo
Sudan Si combatte con rinnovata intensità nella capitale Khartoum. Stupri e uccisioni sommarie nel Darfur occidentale, presi di mira i neri non arabi
Sudan Si combatte con rinnovata intensità nella capitale Khartoum. Stupri e uccisioni sommarie nel Darfur occidentale, presi di mira i neri non arabi
Si combatte di nuovo a Khartoum, Bahri e Omdurman alla confluenza del Nilo. Mercoledì alle 6 del mattino, al termine delle 72 ore dell’ultima tregua, le Forze armate sudanesi agli ordini del generale Abdel Fattah El Burhan e i miliziani delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidati da Mohammad Hamdan Dagalo, detto Hemeti, hanno ripreso gli scontri a fuoco nelle aree di Kalaka Sharig e intorno al quartier generale dei reparti della riserva. Cannoneggiamenti, bombardamenti e raffiche di mitragliatrice pesante si sono subito estesi ad altre zone gettando nel panico migliaia di civili rimasti nelle loro case perché non hanno i mezzi per scappare ed unirsi ai 2,5 milioni di sudanesi già fuggiti, spesso nei paesi confinanti.
Combattimenti si segnalavano ieri anche intorno alla base militare di Al Mohandesin dove le truppe regolari hanno lanciato attacchi aerei alle posizioni delle Rsf che hanno risposto con la contraerea. I soldati di El Burhan tentano, per ora senza successo, di riprendere aree strategiche di Khartoum come il Palazzo presidenziale, la sede della Televisione nazionale e della Radio sotto il controllo delle Rsf. Colonne di fumo nero si sono alzate anche dalla zona industriale. La tregua di fatto era terminata già nella tarda serata di martedì, quando entrambe le fazioni si sono incolpate a vicenda dell’incendio del quartier generale dell’intelligence, che è ospitato in un complesso della difesa nel centro di Khartoum. L’esercito ha accusato le Rsf di aver bombardato l’edificio. Le milizie di Dagalo respingono l’accusa e sostengono che il complesso dell’intelligence, situato nelle aree sotto il loro controllo, è stato attaccato dall’aviazione governativa.
L’esercito sudanese e le Forze di supporto rapido si combattono da più di due mesi, seminando distruzione nella capitale e innescando violenze diffuse nella regione occidentale del Darfur. Gli attacchi compiuti dalle Rsf nella città di El Geneina hanno il carattere di una operazione di pulizia etnica. A migliaia stanno scappando dalla città, spesso sotto il fuoco dei soldati di Dagalo e di uomini appartenenti a tribù nomadi arabe. Testimoni raccontano di atrocità ed esecuzioni indiscriminate di vecchi, donne e bambini, e anche di stupri. Gli assalitori prendono di mira i Masalit che non sono arabi e tutti quelli che hanno la pelle nera. Ad accelerare la fuga in massa da El Geneina e dai villaggi vicini è stato l’omicidio, lo scorso 14 giugno, del governatore del Darfur che qualche ora prima aveva accusato le Rsf e le milizie alleate di genocidio. Si stanno ripetendo le scene viste dopo il 2003, quando le milizie Janjaweed (da cui sono nate le Rsf) hanno aiutato il governo centrale a reprimere nel sangue la ribellione nel Darfur.
Dopo un periodo di calma, l’esercito e le Rsf si sono scontrati anche nel centro e nei quartieri settentrionali di Nyala, una delle più grandi città del Sudan e capitale del Sud Darfur. Scontri violenti con morti e feriti sono avvenuti anche a Dalanj, nel Kordofan meridionale, dove contro l’esercito si è mobilitato l’SPLM-N guidato da Abdelaziz al-Hilu, una potente milizia ribelle che pure si proclama non allineata. Il coinvolgimento nello scontro in corso dal 15 aprile delle tante formazioni ribelli sudanesi è una delle incognite più temibili perché finirebbe per prolungare e aggravare un conflitto che ha già fatto migliaia di morti e feriti. Oltre a frantumare il paese in aree controllate da milizie e signori della guerra.
Alla base dello scontro tra El Burhan e Dagalo ci sono, ufficialmente, controversie sull’integrazione mai avvenuta delle Rsf nelle Forze armate e sui piani di transizione dal regime militare instaurato dal colpo di stato del 2021, quattro anni dopo la rimozione di Omar al Bashir rimasto per 30 anni al potere. Ma sul fuoco della guerra soffiano diversi attori con i loro interessi economici e strategici. Quello terminato mercoledì è stato l’ultimo di numerosi accordi di tregua mediati a Gedda dall’Arabia saudita e dagli Stati uniti.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento