«Teorema» di Pasolini, l’eterno ritorno al Lido
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«Teorema» di Pasolini, l’eterno ritorno al Lido

Venezia 79 Terzo passaggio alla Mostra del cinema per il film del 1968, in versione restaurata grazie a L'Immagine Ritrovata
Pubblicato circa 2 anni faEdizione del 27 agosto 2022

Le celebrazioni del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini stanno dimostrando che forse si è proprio già detto tutto sull’intera opera del poeta e regista friulano. Se si rispolvera l’ammonimento di Lino Miccichè che considerava ogni anniversario l’occasione di stilare bilanci e far muovere su un autore o un movimento retrospettive, festival, editoria specializzata, il «forse» appare ancora come la porta in cui far entrare novità. Altrimenti non si può che accettare il fatto che su Pasolini si è veramente detto e fatto di tutto. Questo vale soprattutto per la sua produzione narrativa, poetica, teatrale, giornalistica e saggistica dove l’effetto del citarlo prevale sull’averlo effettivamente letto, questione che evapora però per i suoi film che sottoposti al tempo a processi e divieti d’ogni risma vengono tutt’ora programmati in televisione anche in orari non paludati. Ciò grazie a una politica che ha allargato le maglie della censura e a una costante operazione di restauri che nel corso degli anni ha reso disponibile nuovamente la sua filmografia.

Interessantissima in tal senso è l’iniziativa della Cineteca di Bologna, tenutaria insieme a pochi altri soggetti dell’eredità cinematografica pasoliniana, che presenta alla 79/a Mostra del Cinema di Venezia nella sezione dedicata ai Classici il restauro di Teorema, realizzato nel laboratorio de «L’immagine ritrovata» con la collaborazione di Mondo TV Group e Cinema Communications Service. Questi i doverosi crediti, mentre in un vortice di ricorrenze, a cominciare dalla celebrazione al Lido dei 90 anni del Festival, in molti ricorderanno che questa sarà la terza volta che Teorema verrà proiettato in mostra. L’ultima volta fu nel 1988 allorquando Laura Betti portò al Lido la retrospettiva completa dei film. La prima, invece, ci fu vent’anni prima, nel fatidico «’68», l’anno più turbolento del festival (non solo come ovvio). Le vicende di quell’edizione sono molto conosciute le hanno raccontate in più occasioni gli stessi protagonisti della protesta che ritirarono i loro film (tra loro anche Pasolini che invitò addirittura a non guardare il suo per poi vedere premiata Laura Betti con la Coppa Volpi, vezzeggiato dalla stampa clericale per poi essere rifiutato e sottoposto a processo da cui il poeta venne fuori assolto): leggere le pagine del direttore dell’epoca Luigi Chiarini quasi in presa diretta nel suo libro Un leone e altri animali possono dare un’esatta direzione di quale fosse il clima in laguna. Ma una lettera, scritta qualche giorno dopo gli eventi di Venezia e destinata in risposta alla richiesta di Massimo Ferretti di fargli da testimone di nozze coll’insufflandoci dentro che dopo aver visto Teorema e senza disturbo alcuno d’aver osservato degradare in uno spettacolo avvilente il suo talento, si indirizza all’amico in un tono amichevolmente polemico e colorito proprio sul film a dimostrazione di quanto Pasolini ci tenesse: «Teorema è un bellissimo film, quasi assoluto».

D’altronde nella prospettiva storica in cui si può finalmente guardare oggi Teorema e nei protagonisti – il cast è meraviglioso con la Mangano, Girotti, la già citata Betti e Terence Stamp – che lo animano (l’intera famiglia alto-borghese e l’ospite inatteso che li destabilizza coprendoli letteralmente d’amore, di quell’amore che occultavano arbitrariamente in nome di un falso perbenismo, non esente la matrice religiosa), c’è il Pasolini che tenta di spiegare al mondo che il mondo stesso è mutato; l’antropologia consumistica ha disgregato valori mitici e popolari; la barbara ingenuità dei «riccetti» è sostituita dal potere dell’abbigliamento e dell’elettrodomestico. D’altronde, cos’è Teorema se non l’inizio di una fine, in cui a sfinirsi senza sosta alcuna sono gli spudorati esercizi di potere che sono alla base delle relazioni sociali di un mondo non più a «misura» di umanità. L’urlo belluino dell’industriale nudo che s’agita nel deserto con cui si chiude il film è forse lo stesso che occupa, purtroppo inascoltato, una buona parte di mondo. Oggi.

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