Internazionale

Tenenti: «Unifil per ora resta solo a presidiare»

La base di Unifil nel villaggio libanese di Markaba, al confine con Israele foto Ap/Hassan AmmarLa base di Unifil nel villaggio libanese di Markaba, al confine con Israele – Ap/Hassan Ammar

Libano Parla il portavoce della missione dell'Onu: «Nelle nostre zone c’erano circa 550mila persone, crediamo che circa due terzi siano fuggite. Diversi attacchi hanno colpito alcune delle nostre basi». Una fonte: plausibile sia stata Tel Aviv

Pubblicato circa un mese faEdizione del 10 ottobre 2024
Sabato AngieriINVIATO A BEIRUT

La situazione sul campo nel sud del Libano è un rebus di strategia e segretezza che tiene il mondo con il fiato sospeso ma ancora non è davvero esplosa. Sappiamo che Israele ha dispiegato 4 divisioni al confine con il Libano, tre operative (98° paracadutisti, 91° fanteria corazzata e 36°) e una di riserva (146°). Il Times of Israel scrive di 15mila soldati già pronti all’azione, ma diverse fonti occidentali parlano di circa 40mila uomini.

Per ora l’avanzata delle truppe israeliane si è limitata a «incursioni limitate e mirate» come hanno spiegato i generali israeliani ai rappresentanti della missione Unifil lungo la cosiddetta Linea blu, la linea del ritiro delle forze israeliane stabilito dall’Onu nel 2000.

ABBIAMO INCONTRATO nella sede dell’Unifil a Beirut Andrea Tenenti, portavoce e capo della comunicazione della missione che ci ha aiutato a fare chiarezza su alcune notizie di cronaca provenienti dal sud del Paese. «Unifil è composta da 10.400 soldati provenienti da 50 Paesi, di questi 1.200 solo italiani, della Brigata Sassari. Nella fascia immediatamente a ridosso della Linea Blu, ovvero una striscia di terra di circa 120 km, ci sono 29 postazioni di Unifil a circa 5 km di distanza da questo “confine”, mentre in posizione più arretrata se ne trovano altre 26. La postazione più avanzata dove sono presenti soldati italiani è a Labbouneh, nel sud-ovest del Paese, proprio sulla Linea Blu».

Ed è qui che ieri mattina Hezbollah dice di aver respinto un assalto dei soldati israeliani, causando perdite al nemico. Tenenti ci conferma che «è stata registrata la presenza di circa 180 soldati israeliani» nella zona di competenza dei soldati italiani, «ma che il personale dell’Unifil non ha informazioni specifiche sul movimento dei belligeranti e sugli esiti delle battaglie in quanto durante scontri e bombardamenti è importante mantenere la sicurezza dei caschi blu». Le regole di ingaggio sono chiare: quando i belligeranti si confrontano i caschi blu devono restare nelle basi. Il che, è evidente, aumenta anche i rischi.

Chiediamo a Tenenti se dopo la richiesta di Israele di ritirare i peacekeeper dalle posizioni nelle basi più avanzate la situazione è cambiata. «L’Italia, di comune accordo con la totalità dei Paesi che fanno parte della missione ha deciso di non ritirare i propri soldati, ma di spostarli su altre basi, e il mandato è stato di recente prorogato fino ad agosto. Ciò non vuol dire che la decisione non possa essere modificata, come del resto accadde nel 2006, se la situazione dovesse diventare insostenibile. Ma per ora non abbiamo tali segnali e Unifil resta a presidiare le posizioni che le sono state assegnate, nonostante diversi attacchi abbiano colpito alcune delle basi».

Attacchi di Israele? «In un contesto di confronto costante dalla distanza è difficile stabilire le responsabilità precise». Tuttavia, ci dice un’altra fonte informata dei fatti, che «data la maggiore attività da parte dell’artiglieria e dell’aviazione israeliana è plausibile ritenere che molti degli attacchi siano stati lanciati dalle loro posizioni».

MA IN UN CLIMA del genere i soldati non si sentono presi in trappola, non hanno paura che possano finire in trappola senza la possibilità di rispondere? «In alcune basi molto vicine alla Linea Blu non è facile, ovviamente, i caschi blu sono spesso obbligati a restare nelle basi per molte ore consecutive per non essere esposti a troppi rischi e la qualità generale della vita si abbassa giocoforza, è più difficile ottenere rifornimenti di cibi freschi, di acqua e altri generi di conforto. Ma la situazione è difficile in tutto il Libano e il nostro compito e continuare a monitorare. Siamo in contatto costante con il Consiglio di sicurezza dell’Onu al quale inviamo report periodici e la vicinanza del Segretario generale Guterres – che martedì ha ringraziato pubblicamente i peacekeepers per il loro lavoro in Libano meridionale – ci ricorda che non siamo soli».

Ma qual è l’obiettivo principale dell’operato di Unifil al momento? «L’emergenza attuale, che richiede tra l’altro di istituire corridoi umanitari per i civili rimasti nella zona. Prima dell’escalation nelle zone dove operiamo erano presenti circa 550mila persone, ora crediamo, anche se non abbiamo dati precisi, che circa due terzi di queste siano scappate a nord di Sidone o altrove. Stiamo lavorando con Unicef, Ocha, Wfp per l’apertura di corridoi umanitari e forse nei prossimi giorni riusciremo a ottenere un primo risultato».

Intanto gli attacchi aerei aerei israeliani sul Libano continuano. Due persone sono morte e diverse sono state ferite a Baalbek, nella valle della Bekaa. I quartieri meridionali di Beirut sono stati bombardati nuovamente e secondo il ministero della Salute di Beirut ieri le bombe israeliane hanno ucciso 29 persone in totale. Portando il numero complessivo delle vittime libanesi dall’inizio dell’escalation a 2.141.

TUTTAVIA, Hezbollah continua a rispondere al fuoco e ieri almeno due israeliani sono morti per un raid di razzi lanciati dal sud del Paese dei cedri verso Kiryat Shmona, dove il sindaco ha «raccomandato» l’evacuazione degli oltre duemila residenti.

La Francia ha convocato per il 24 ottobre a Parigi un primo vertice di pace sul Libano, ma le dichiarazioni recenti di Netanyahu non lasciano supporre che Israele al momento sia interessato a un cessate il fuoco. Nonostante sia evidente che Hezbollah è tutt’altro che finito militarmente.

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