C’è un nuovo «telepredicatore» candidato a sindaco in quella che appare la più pazza campagna elettorale di sempre per le elezioni amministrative di Taranto. Si chiama Luigi Abbate, è un giornalista televisivo locale di lungo corso e qualche anno fa balzò agli onori delle cronache, anche nazionali, perché il suo nome comparve in una intercettazione telefonica, pubblicata da Il Fatto, tra l’allora presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola e il capo delle relazioni istituzionali di Ilva, Girolamo Archinà (quest’ultimo poi condannato la scorsa estate in primo grado a 21 anni nell’ambito del processo per l’inquinamento causato dalla grande fabbrica siderurgica). I due interlocutori erano stati intercettati dalla procura ionica mentre commentavano un episodio che aveva visto protagonisti Archinà e Abbate in cui il plenipotenziario di Ilva aveva letteralmente strappato dalle mani il microfono al giornalista per evitare domande scomode ad Emilio Riva, l’allora patron dell’acciaieria. Nella stessa telefonata Vendola definiva il giornalista «faccia da provocatore».

ORA, PERÒ, LUIGI ABBATE, titolare della società di comunicazione «Production & Communication» attraverso cui produce le sue trasmissioni sul canale 115 del digitale terrestre, Telesud, i panni del «provocatore» sembra indossarli davvero. Abbate – si diceva – con la sua lista personale «Taranto Senza Ilva» è uno dei candidati sindaco nella tornata elettorale che vedrà il 12 giugno anche la «città dei due mari» al voto, insieme a Palermo e Catanzaro, tra le grandi città del sud Italia. Fin qui, la normalità della competizione democratica. Messa in dubbio dal fatto che il giornalista-candidato passa le sue giornate andando a caccia degli altri candidati, nelle piazze e nei mercati, microfono e telecamera al seguito, e poi li attacca, rivolgendo domande senza alcun contraddittorio. Tutto poi finisce pubblicato in rete, dove Abbate è molto attivo con la sua pagina Facebook da candidato, che conta già diversi migliaia di follower.

«FACCIO QUELLE CHE qualcuno ha chiamato incursioni perché gli altri candidati sindaco rifiutano il confronto», ci risponde Luigi Abbate. «La legge me lo consente, anche se riconosco che questa è una anomalia, non è mai accaduto nulla del genere in Italia». Poi ancora precisa: «Non sono vere e proprie interviste, cerco di fare dei dialoghi, e le faccio in veste di candidato sindaco, non di giornalista. Certamente si tratta di una forma atipica». E aggiunge: «forse un precedente di questo tipo c’è stato in città, ed è stato Giancarlo Cito, che per me rimane un modello. Nel senso che anche lui all’epoca è stato contro la destra e contro la sinistra, contro l’allora partitocrazia e usava il mezzo televisivo.

Anzi. Rivendico con orgoglio la mia appartenenza in passato alla Lega d’azione meridionale (il partito dell’ex picchiatore fascista Cito, ndr) quando nacque come movimento civico, prima che poi prendesse una deriva di destra. E se mi chiami telepredicatore, perciò, non mi offendo». Conclude il giornalista-candidato: «Il mio è un movimento di protesta e proposta, né di destra né di sinistra. E rivendico anche la mia correttezza, come quando ho ospitato in passato sulla mia tv, come imprenditore, gli spazi pubblicitari di tutti i candidati che volevano acquistarli».

IN TUTTI I CASI, vista da qui, nei suoi nodi irrisolti tra capitale, lavoro e salute, e nelle eterne peripezie e trasformismi della sua classe dirigente, Taranto appare ancora una volta metafora dell’impazzimento della politica rappresentativa. In questo, eterno specchio dell’Italia. Diversi fattori lo dimostrano. A cominciare dal fatto che il candidato sindaco del centro destra cittadino si chiami Walter Musillo, fino a pochi anni fa segretario provinciale del Partito democratico, e ora alla guida della «Grande alleanza per taranto» ione che comprende Fratelli d’Italia, la Lega per Salvini e ciò che resta della Lega d’azione meridionale, primo partito populista nato in Italia alla fine degli anni ’80 e il cui leader neo-fascista, Giancarlo Cito, oggi è fuori gioco nella competizione elettorale in virtù di diverse condanne rimediate, tra cui una per concorso esterno in associazione mafiosa. Ma non ha mai rinunciato a candidare i figli, Antonella e Mario, che fino a qualche mese fa sedevano in consiglio comunale. Insieme a loro, a condividere gli scranni di elezione in quota Lega d’azione meridionale, c’erano Adriano Tribbia e Cosimo Ciracì, due colonnelli storici di Cito, i quali sono oggi tutte e due candidati nella coalizione che sostiene il primo cittadino uscente, l’ex imprenditore portuale Rinaldo Melucci, espressione del Partito democratico, tuttora il favorito nella corsa elettorale.

A COMPLETARE IL QUADRO dei candidati sindaco al comune, insieme ad Abbate si gioca la carta del terzo incomodo tra gli schieramenti classici anche l’operaio Ilva Massimo Battista, eletto nella scorsa consiliatura con il Movimento 5 Stelle, quando il Comitato a cui apparteneva, il Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti, tentò la carta dell’hackeraggio nei confronti dei dirigenti pentastellati storici, riuscendoci. Poi, è andata che i movimentisti interni al Movimento hanno abbandonato Grillo &Co, accusando i deputati locali di «non aver fatto nulla per risolvere la questione Ilva».

Dice un ex attivista: «Ora, invece, il Movimento 5 Stelle a Taranto è tornato quello delle origini, ma è nelle mani dei dirigenti, di uno in particolare, è lui che comanda, il senatore Mario Turco». Turco è uno dei consiglieri più ascoltati di Giuseppe Conte, già sottosegretario a palazzo Chigi durante il governo giallo-rosso. Ed è uno dei registi, indubbiamente, che hanno portato i 5 Stelle a sostenere il candidato della coalizione di centro-sinistra, Rinaldo Melucci.