Tanzania: tasse su assorbenti ed extension, quando il fisco è contro le donne povere
Africa Presentando le tasse tasse il ministro tanzaniano Mpango è stato sarcastico ma l’opposizione popolare lo incalza: non si tratta di vezzi femminili, ma di bisogni
Africa Presentando le tasse tasse il ministro tanzaniano Mpango è stato sarcastico ma l’opposizione popolare lo incalza: non si tratta di vezzi femminili, ma di bisogni
Lo scorso 14 giugno il ministro delle Finanze tanzaniano Philip Mpango ha presentato al Parlamento la legge di bilancio 2019/20 e le sorprese non sono mancate.
Coerentemente con il nome che ha ricevuto sul campo, il governo del primo ministro John Magufuli “Bulldozer” (Tingatinga) mette in campo un bilancio tutto centrato sullo sviluppo di infrastrutture (progetti idroelettrici, ferrovie e aeronautica). Tuttavia, secondo gli analisti della società di revisione Kpmg, il budget non è realistico dal punto di vista economico. Dello stesso avviso è anche il professor Honest Ngowi dell’Università di Mzumbe, perché il governo «ha raccolto solo l’87% delle entrate (12 miliardi di dollari su 18) previste nel budget corrente e come può pensare ad un ulteriore aumento?», visto che le entrate nel nuovo budget ammontano a 19 miliardi.
Secondo il leader di Act (Alliance for Change and Transparency) Wazalendo, Zitto Kabwe, i progetti infrastrutturali sono destinati «a sviluppare le cose non le persone», inoltre, la crescita del Pil nazionale (6,9%) non si traduce nella crescita del Pil procapite, che infatti si ferma al 3,6%.
Tuttavia ciò che ha creato più clamore è stata la decisione del governo di reintrodurre una tassa sugli assorbenti perché secondo il ministro Philip Mpango i rivenditori non hanno abbassato i prezzi. Secondo Anna Henga del Centro per diritti umani (Legal and Human Rights Centre) «qualunque sia la ragione del governo, la reintroduzione della tassa è una decisione che ha pesanti conseguenze per la maggior parte delle donne e delle ragazze… il governo dovrebbe cercare di capire perché l’esenzione non ha portato ai risultati attesi, e quindi correggere gli errori nell’applicazione dell’esenzione». Secondo l’attivista, i prodotti sanitari femminili andrebbero distribuiti gratuitamente perché lo stigma sulle mestruazioni è spesso citato come motivo principale per cui le ragazze lasciano la scuola. Ci sarebbe un legame tra «l’alto tasso di fallimenti scolastici delle ragazze nelle zone rurali e le assenze legate al ciclo». Per il parlamentare dell’opposizione Zitto Kabwe, il governo ha agito troppo in fretta. Si è infatti chiesto se «sono sufficienti 12 mesi per fare una valutazione» e se non sia più opportuno controllare meglio la vendita di prodotti sanitari femminili. Anche i parlamentari di governo del Ccm (Chama Cha Mapinduzi) hanno chiesto di mantenere l’esenzione fiscale. Il parlamentare Goodluck Mlinga si è chiesto perché se «il governo distribuisce liberamente i preservativi non può distribuire liberamente gli assorbenti?».
Per l’attivista tanzaniana Maria Sarungi Tsehai «le mestruazioni non sono un lusso o una scelta» e ha lanciato sui social media l’hashtag #PediBilaKodi (assorbenti senza tasse). Tuttavia, ciò che ha avuto l’effetto maggiore sulle donne tanzaniane è l’introduzione dell’imposta del 25% su extension e parrucche (del 10% se sono di produzione locale).
A volte può essere solo il modo, oltre al contenuto, a dare significato ai gesti e il fare sarcastico e ironico con cui il ministro delle Finanze Philip Mpango ha letto il testo di introduzione della tassa ha avuto un impatto simbolico profondo. Il sorriso del ministro ha bollato l’allungare i capelli come vezzo femminile: un extension di superficialità e subalternità che ha offeso la bellezza femminile.
Certo ci sono state le proteste corporative degli addetti del settore, i dati sull’occupazione, il rischio chiusura delle attività. Addirittura c’è chi, come Aristote Mwamtobe, gestore di un hairdresser salon, sostiene che la tassa potrebbe condizionare i rapporti di coppia: «le donne povere si taglierebbero i capelli, il che potrebbe portare al divorzio per le donne con i capelli lunghi». Ma forse c’è qualcosa di più, è come se stessero punendo il nostro desiderio di bellezza», ha detto Lynda Kwesi. Decisamente una legge antifemminile.
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