«Dopo che Dozhd TV è stata chiusa in Russia il 3 marzo 2022, ci siamo sparpagliati e abbiamo girato il mondo negli ultimi otto mesi, ma abbiamo trovato la forza di riprendere le trasmissioni». A parlare è Natasha Sindeeva, la fondatrice di Dozhd, la televisione indipendente russa che per più di un decennio (la prima messa in onda è datata aprile 2010) si è trovata a fronteggiare il regime incarnato nella figura del suo presidente. Parole espresse per promuovere l’uscita di Tango con Putin, il documentario diretto da Vera Krichevskaya, il cui titolo originale è il ben più esplicito F@ck This Job. Forse in Italia si è preferito puntare sul nome del cattivo per eccellenza che affronta ogni dissidente e oppositore con atti ostili che testimoniano, una volta di più, il precario, se non inesistente, stato di salute della democrazia russa.
Nel titolo originale, invece, vi è compreso il senso più ampio del film. In tempi di guerre, di forti crisi sociali, economiche e politiche, con un pianeta devastato da eventi climatici e con un’emergenza sanitaria ininterrotta, cosa significa essere giornalisti, editori, imprenditori dell’informazione? Tango con Putin, in un contesto specifico come quello russo, diventa allora un esempio della difficoltà nel trovare delle risposte adeguate a domande così urgenti.

«ALLA FINE del secondo mandato di Putin, nel 2008, tutte le televisioni russe erano controllate dallo Stato». Con questa didascalia ha inizio il film. E, successivamente, la voce narrante della regista spiega il proprio percorso professionale e il motivo per cui dopo quindici anni di lavoro giornalistico, si è trovata accanto a Sindeeva, per un’impresa che agli esordi non pareva degna delle attenzioni governative. Infatti, sempre nel 2008, la futura fondatrice di Dozhd e suo marito altro non erano che persone con molti soldi, frutto di investimenti riusciti e di un periodo benevolo nei confronti di chi conduceva affari di ogni tipo. Dirigente di una radio e ballerina, Sindeeva non assomigliava al prototipo dell’antagonista. Corrispondeva più all’avventuriera che aveva intenzione di conquistare il mondo. E in quel momento, un obiettivo poteva essere costruire quello che altri non avevano, un impero televisivo. E perciò nacque il network degli scherzi e dei balli, dei sorrisi e del disimpegno.
Le domande poste in precedenza, però, non sono di quelle che chiedono permesso. E quindi anche l’enigmatico «canale ottimista e della pioggia» si è dovuto arrendere alla realtà. Nell’Aeroporto di Mosca-Domodedovo esplode una bomba. E mentre gli altri continuano con l’intrattenimento, Dozhd apre una diretta sull’attentato. E dopo un po’, ecco le proteste sempre più veementi contro i brogli elettorali che riportano, dopo un quadriennio, Putin al potere. Da quel momento l’emittente sarà bersaglio di violenti attacchi, con i lavoratori intimiditi in un ambiente nel quale a pochi passi muoiono o sono incarcerati altri oppositori.

Il documentario, molto schematico nella sua realizzazione con una musica persistente, segue, dunque, le sorti di una donna divisa tra la personalizzazione di un progetto che dovrebbe darle fama e il progetto stesso che rivolto a un pubblico indefinito, sfugge per definizione al controllo sia di chi lo ha ideato, sia di chi da esso si sente minacciato. Ed è proprio in questo dissidio, nel quale il singolare si mescola sempre col plurale, che il film mostra i suoi aspetti più interessanti.
Nel frattempo, Natasha Sindeeva e altri due giornalisti del gruppo sono stati classificati dal Ministero della Giustizia come «agenti stranieri». A suggerire che la storia è ben lontana dai titoli di coda.