Un missile anti carro sulla spalla per mostrare che Taiwan deve essere pronta a combattere. Rispondendo indirettamente anche a un recente sondaggio nel quale il 49,5% degli intervistati sostiene che la sua amministrazione sia «inadeguata» ad affrontare un’eventuale aggressione di Pechino. «È leggero», ha detto Tsai Ing-wen maneggiando un Kestrel scarico durante l’ispezione a una base della 66esima brigata dei marines di Taoyuan. Un’arma sviluppata in modo autoctono e considerata strategica per far fronte a un’invasione anfibia. La presidente taiwanese svela il suo lato guerriero di fronte alla consapevolezza che in caso di un ipotetico conflitto Taipei sarà chiamata a resistere in prima persona come stanno facendo gli ucraini di fronte all’invasione della Russia.

QUEL MISSILE in spalla che dà il segnale che la celeberrima ambiguità strategica è in fase di ridiscussione. Anche da parte taiwanese. Durante la visita di Duckworth, Tsai ha infatti dichiarato che la Guardia nazionale degli Stati uniti sta pianificando una «cooperazione» con l’esercito taiwanese. «Non vediamo l’ora che ci sia una collaborazione più stretta e approfondita in materia di sicurezza regionale», ha aggiunto. Solitamente messaggi di questo tipo vengono veicolati in prima battuta da parte americana e vengono poi al massimo ammessi (o ridimensionati) da parte taiwanese come era accaduto in occasione delle indiscrezioni sulla presenza di consiglieri militari a stelle e strisce su suolo taiwanese. Il fatto che stavolta l’annuncio arrivi direttamente da Tsai amplifica la sua rilevanza.

I segnali di Taipei arrivano mentre i confini dello status quo vengono sempre più testati dalle due potenze coinvolte in questo triangolo scomposto, Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese.

DOPO L’ENNESIMA (non) gaffe di Joe Biden sull’impegno americano a difendere Taipei, l’Esercito popolare di liberazione ha annunciato in rapida successione due cicli di esercitazioni militari sullo Stretto, necessari per contrastare la «collusione» tra «secessionisti» e forze straniere. Nei giorni scorsi si è registrata una maxi incursione di 30 jet militari nello spazio di identificazione di difesa aerea taiwanese, la più grande dallo scorso gennaio.

Mossa arrivata in concomitanza con la visita di Tammy Duckworth, senatrice Usa promotrice di una serie di progetti di legge a sostegno di Taipei tra cui la Strengthen Taiwan’s Security Act che «rafforzerebbe il nostro sostegno a Taiwan e le fornirebbe gli strumenti necessari per proteggersi da qualsiasi attacco ingiustificato». Lo stesso Lloyd Austin ha dichiarato a Nikkei che gli Usa metteranno a disposizione «materiali e servizi necessari ad assicurare una sufficiente capacità di autodifesa».

A Pechino non piacciono nemmeno le trattative in corso per approfondire il legame commerciale, obiettivo esplicitato durante l’incontro tra la vice rappresentante al Commercio americana Sarah Bianchi e il capo negoziatore taiwanese John Deng. Il prossimo incontro del Segretario alla Difesa americano col ministro della Difesa cinese Wei Fenghe servirà, nella migliore delle ipotesi, a trovarsi d’accordo di essere in disaccordo sul dossier taiwanese. Con la speranza di ridurre i rischi di incidenti non calcolati.

TRA LE PIEGHE semantiche di una delicata partita retorica e di deterrenza incrociata, prova a infilarsi il Guomindang. Il partito d’opposizione a Taipei, che proprio sull’accordo di essere in disaccordo («esiste una sola Cina ma non stabiliamo quale essa sia») ha basato il personale disgelo degli scorsi due decenni con Pechino, prova a rilanciarsi e riabilitarsi agli occhi americani. Eric Chu, il suo leader, si reca a Washington nei prossimi giorni. Tenterà di capire se a Casa bianca e Pentagono possa far comodo un’amministrazione taiwanese in grado di avere un dialogo col Partito comunista. O se invece l’intenzione è quella di provare a capire fino in fondo dove passa la linea rossa.