Il Superbonus pesa come un macigno. Il ministro dell’Economia Giorgetti, nell’audizione sulla Nadef di fronte alle commissioni parlamentari, snocciola cifre da allarme rosso: di qui al 2026 costerà oltre 37,8 miliardi in più del previsto. Uno sproposito al quale va aggiunto l’onere accresciuto delle pensioni indicizzate in seguito all’inflazione, a partire dall’aumento del 7,3% da gennaio firmato proprio ieri: altri 50 miliardi in tre anni. Completa il quadro l’annuncio che il bilancio dell’ultimo trimestre dell’anno sarà negativo. Conclusione: «Non è equo destinare una così ingente massa di risorse a una limitatissima fetta di cittadini in modo indistinto».

Significa che il passaggio dal 110 al 90% non basterà. Il governo circoscriverà la platea basandosi sia sul reddito che sulla distinzione fra prima e seconda casa. Gradualmente. Senza dimenticare «il contributo che la misura ha dato in una fase critica». Però inesorabilmente e con l’obiettivo di riconvertire gli investimenti, sfruttando il RePowerEu, sull’edilizia pubblica. Anche sul nodo della cessione del credito Giorgetti dichiara a tutte lettere che il governo cercherà una soluzione, per esempio allungare i tempi di smaltimento del credito da 5 a 7 anni, ma senza esercitare pressioni indebite: «Non ho fatto né farò telefonate. Non possiamo obbligare per legge le istituzioni private o che agiscono come tali».

SARÀ PROPRIO il Superbonus l’intervento più pesante nella manovra che Giorgetti conferma essere di 21 miliardi concentrati contro il caro energia e senza incrinare la stabilità di un debito sceso l’anno scorso di oltre 4,5 punti percentuali. Molto più prudenti, nonostante i ruggiti della vigilia, le limitazioni del reddito di cittadinanza. Lo dice apertamente il viceministro Maurizio Leo, che non parla più di escludere dalla platea gli abili al lavoro ma solo di «intervenire con meccanismi di controllo che possono generare un miliardo». Il reddito di miliardi ne costa 9. L’auspicio è scovare tanti “truffatori” da risparmiarne uno da devolvere contro il caro bollette, ma anche sugli altri due piatti che piangono calde lacrime: la Flat Tax e le pensioni. Non significa che tutto resterà com’era.

La limitazione dei rifiuti di «lavori congrui» a uno solo basterà a sovvertire il senso della misura, trasformandola in arma di ricatto in mano ai datori di lavoro. Prendere o lasciare tutto, reddito di cittadinanza incluso. Molto più che dalla vigilanza sul Rdc parte dei fondi necessari potrebbe arrivare dalla tassazione degli extraprofitti sull’energia. Giorgetti promette: «Se su 10 miliardi attesi se ne incassano 2 o 3 bisogna intervenire». Si scoprirà presto se il governo avrà il coraggio di farlo davvero.

LA FLAT TAX PROMESSA da Matteo Salvini è un miraggio. Difficilmente si andrà oltre il tetto portato da 65mila a 85mila euro per gli autonomi, che ha un costo limitato. Giorgetti ipotizza però anche una estensione incrementale, cioè applicata solo ai redditi aggiuntivi delle partite Iva dal 2020. Anche sulle pensioni prudenza e lentezza sono d’obbligo. Il ritorno della Fornero sarà scongiurato ma quanto a Quota 41 il ministro si limita a «non escluderla», specificando però che saranno necessarie «compensazioni».

In realtà sui tavoli del governo balla una vorticosa serie di ipotesi, che vanno dalla «quota 102», 41 anni di contributi e 61 primavere, a «quota 104», stessi contributi ma 63 anni. La prima costerebbe un miliardo subito e parecchio di più a regime. La seconda è a prezzi più scontati ma anche bocciata senza appello dai sindacati. In mezzo una ridda di mediazioni. Le confederazioni, come gli industriali, puntano sul taglio del cuneo fiscale. Per il quale però non ci sono né ci saranno quattrini a sufficienza. Il governo si limiterà a prorogare il taglio di due punti, per una platea limitata, tutt’al più aggiungendo la totale esenzione da tasse e contributi per i premi in busta paga fino a 3mila euro, come fanno i tedeschi.

PER LA MANOVRA, prevede il ministro, ci vorranno tre settimane. Oggi stesso invece il consiglio dei ministri licenzierà il quarto decreto Aiuti: 9,1 miliardi, circa metà dei quali per rifinanziare subito le misure Draghi su accise, fringe benefits e sostegni e il resto per i primi mesi del 2023. Con in più le nuove norme sulle trivellazioni liberalizzate, le uniche sulle quali si procederà a passo di carica.

Resta da definirsi un particolare: il Pnrr. Giorgetti, come prima di lui Giorgia Meloni, mette le mani avanti: «Così come approvato non si riesce a farlo nei tempi previsti». L’Ufficio parlamentare di bilancio avverte che «non va rivisto» e di solito il parere dell’Upb è identico a quello della Ue.