Con 287 sì, 55 no e 4 astensioni il Parlamento turco, martedì sera, ha approvato l’adesione della Svezia alla Nato, dopo il voto della commissione esteri il 26 dicembre scorso. Per completare l’iter manca ancora la firma del presidente Erdogan che dovrebbe arrivare entro 15 giorni. L’ultimo scoglio del lungo e travagliato percorso con cui il paese scandinavo abbandona la secolare neutralità militare dovrà arrivare da Budapest.

Ieri, mentre il governo svedese guidato dal conservatore Ulf Kristersson festeggiava il sì del parlamento turco, il presidente ungherese Orbán su X ha dichiarato di aver sentito il segretario generale Nato, Jen Stoltenberg, ribadendogli che il suo paese «sostiene l’adesione della Svezia alla Nato» e di «aver sollecitato l’Assemblea nazionale ungherese a votare a favore dell’adesione così da concludere la ratifica alla prima occasione possibile».

SE ERDOGAN apporrà la sua firma e Orbán rispetterà quanto annunciato la Svezia vedrà, presto, sventolare la propria bandiera blu crociata di giallo alla sede Nato di Bruxelles a fianco degli altri 31 stati, a un anno dell’adesione della vicina Finlandia. I due paesi della penisola scandinava avevano quasi contemporaneamente dichiarato la propria intenzione di aderire ad aprile 2022, come risposta all’aggressione russa all’Ucraina. Allora entrambi gli stati nordici erano governati da premier socialdemocratiche, la svedese Magdalena Andersson e la finlandese Sanna Marin.

Fino al 24 febbraio 2022 in tutte e due i paesi si registrava una maggioranza di contrari all’adesione tutte le volte che si era proposto il tema ma, con la guerra scatenata da Mosca e il lungo confine che divide Finlandia e Russia, in pochi mesi l’opinione pubblica ha cambiato radicalmente posizione così come la stragrande maggioranza delle forze politiche.

In questi due anni sia a Helsinki che a Stoccolma sono cambiate maggioranze e premier, portando al governo i conservatori in alleanza con l’estrema destra. In questi due anni i due paesi nordici hanno dovuto cedere e concedere a Erdogan praticamente tutto ciò che aveva richiesto: dallo sblocco dell’embargo per la vendita di armi fino alle richieste per l’estradizione degli oppositori al regime turco rifugiati in Finlandia e soprattutto in Svezia. Processi discutibili avevano interessato diversi oppositori turchi e curdi già dall’agosto 2022, in piena campagna elettorale svedese.

DOPO POCHI MESI il parlamento di Stoccolma aveva, inoltre, approvato una nuova legge contro il terrorismo, entrata in vigore il primo giugno dello scorso anno, che permette l’estradizione in Turchia di tutti i cittadini ritenuti «sostenitori o fiancheggiatori di organizzazioni terroristiche» includendo nella definizione anche la resistenza curda del Pkk e delle Ypg/Ypj siriane.

In verità, mentre Svezia e Finlandia si prodigavano a rispondere alle richieste perentorie di Erdogan, lui intesseva una trattativa parallela con gli Usa conclusa il dicembre scorso con il via libera alla vendita di aerei da guerra F16 statunitensi ad Ankara in cambio del sì turco alla Svezia nella Nato.

L’implementazione della sua potenza militare permetterà, ora, al presidente turco di intensificare l’offensiva sul nord della Siria volta a combattere il confederalismo democratico animato dai curdi.