Sulle piste che portano ai rapitori di Silvia Romano
Kenya Nessuna novità malgrado l'ottimismo degli inquirenti. Dalla «liberazione lampo» allo stallo. Ieri altri arresti, pastori in fuga dalla zona delle ricerche
Kenya Nessuna novità malgrado l'ottimismo degli inquirenti. Dalla «liberazione lampo» allo stallo. Ieri altri arresti, pastori in fuga dalla zona delle ricerche
Il rapimento della volontaria italiana Silvia Costanza Romano in Kenya ha raggiunto una fase di stallo: si pensava a una liberazione lampo e invece sono passati già 14 giorni. I rapitori hanno lasciato tracce significative e più di 20 persone sono state arrestate.
LA POLIZIA SI È DETTA DA SUBITO vicina a prendere i rapitori perché durante le perlustrazioni erano stati trovati i piatti con cui il gruppo avrebbe mangiato, le moto usate per la fuga lasciate nell’erba e persino il riscontro di testimoni oculari. Tutte tracce che insieme alle intercettazioni telefoniche avevano circoscritto il perimetro di movimento dei sequestratori. Un gruppo impacciato, ma per questo secondo il capo della polizia di Kilifi, ancora più pericoloso.
In primis si è pensato che i sequestratori fossero terroristi legati al gruppo Al Shabaab, poi a pastori di etnia Orma e infine delinquenti comuni, ma nessuna delle ipotesi è al momento scartata. Lungo la strada verso Kapangani sarebbero state trovate delle treccine che la parrucchiera di Chakama, il villaggio dove è stata rapita la ragazza, giura di aver legato alla testa di Silvia la domenica prima del rapimento. È poi emerso che la ragazza sarebbe stata nascosta sotto un niqab per non renderla riconoscibile.
L’UNICA CERTEZZA per gli inquirenti è che Silvia è viva. La gente della costa ha diverse opinioni sul rapimento alcuni pensano si tratti effettivamente di «cellule dormienti di al Shabaab» per mettere in crisi l’attività turistica e costringere i soldati keniani impegnati in Somalia a lasciare il Paese, tuttavia se fosse vero avrebbe dovuto esserci una rivendicazione che finora non è avvenuta.
Altri collegano il rapimento allo sconvolgimento che ha portato sulla costa l’arresto e l’estradizione dei fratelli Akasha. Si tratta di una importante famiglia di origine sudanese arrivata a Mombasa nel 1960 e che negli anni ha fatto diventare la costa un luogo nevralgico per il traffico internazionale di stupefacenti.
CON I MAGGIORI CONTROLLI lungo la rotta asiatica il traffico si sarebbe spostato sempre più verso sud, lungo quella che gli esperti chiamano la smark track (la rotta meridionale dell’oppio). Un commercio importantissimo che avrebbe avuto un effetto decisivo nel fallimento della guerra americana in Afghanistan. La Cia avrebbe verificato che la crescita dello spaccio alimentava i rifornimenti di armi per i talebani soprattutto in seguito ai periodi di raccolta dell’oppio. Da qui un’indagine sotto copertura dove gli agenti si sono accreditati presso gli Akasha come compratori dimostrando, registrazioni alla mano, il loro ruolo nel narcotraffico. In seguito c’è stata l’estradizione negli Stati uniti dei due fratelli e si attende la medesima sorte per altre dieci persone di alto profilo delle istituzioni keniane coinvolte nella rete degli Akasha: un parlamentare della Rift Valley, un pubblico ministero, due giudici dell’Alta Corte, due magistrati e un ufficiale delle indagini penali. Sarebbero questi interessati a creare il «casino del rapimento», ma se è vero come si dice da queste parti che in Africa non devi cercare la logica, la connessione tra i due fatti appare priva di fondamento.
MEGLIO TORNARE AI FATTI. «Adesso – secondo un missionario che preferisce restare anonimo -, i sequestratori scappano non solo per il rapimento, ma per la loro stessa vita. Come tutti sanno in Kenya la polizia prima spara e poi chiede. Le morti extragiudiziarie sono un fatto conclamato. Lo sanno anche i rapitori di Silvia Costanza Romano e questo rende queste ore ancora più delicate». Domenica sono arrivate nel quartiere generale delle forze di ricerca a Garsen truppe speciali dell’intelligence di esperti anti-terrorismo, sarebbero diretti a Lagabuna dove si ritiene sia detenuta Silvia Romano. Secondo quanto riportato dai media keniani i pastori presenti nell’area della foresta di Boni tra il villaggio di Asa e Lagabuna avrebbero lasciato la zona per timore di essere arrestati dall’esercito o di essere attaccati da parte dei rapitori. Sempre nella zona di Asa la polizia ha arrestato per favoreggiamento Dumal Haji Osman e Hassan Borow Khamis sarebbero stati bloccati mentre cercavano di portare cibo e medicine ai rapitori.
Intanto musulmani e cristiani di Kilifi hanno pregato per la liberazione di Silvia.
In Italia il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi durante un incontro a Roma con il vice Presidente del Kenya William Ruto ha confermato «la forte aspettativa italiana al massimo e solerte impegno in vista della rapida liberazione di Silvia, sottolineando quanto l’Italia tenga all’attenta tutela della sua incolumità».
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