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Sulle droghe Trump contro la scienza

Fuoriluogo La rubrica settimanale a cura di Fuoriluogo

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 13 settembre 2017

Donald Trump una ne fa e cento ne pensa, ma sono tutte sbagliate. Infatti, dopo avere scelto il congressman repubblicano Jim Bridenstine, senza nessuna competenza scientifica, a capo della Nasa, ha ora nominato Tom Marino, un avvocato deputato, fedelissimo della prima ora, a guida dell’Ufficio nazionale per le politiche di controllo delle droghe.

Il nuovo Zar anti-droga è noto per essersi opposto negli anni a qualsiasi legge di riforma della penalizzazione del consumo della marijuana, anche medica, e per aver proposto degli «ospedali/prigioni» per chi viene arrestato per «crimini nonviolenti» ritenendo che chi spaccia sia comunque da ritenersi un «drogato» e un criminale.

Quando il suo nome era stato avanzato in primavera, Marino aveva declinato l’offerta accampando una malattia familiare; non si sa se questo impedimento sia stato risolto, quel che è certo è invece il fatto che, quando lavorava per Bush, esercitò particolare clemenza per un amico condannato per possesso di cocaina in tempi in cui mostrava poca misericordia per le altre vittime della giustizia penale che amministrava. Da membro del Congresso, Marino si era opposto a un emendamento che vietava al Dipartimento della Giustizia di interferire con le leggi sulla cannabis medica adottate da 29 stati. I suoi «ospedali/prigioni» dovrebbero essere «aperti» anche a consumatori di marijuana.

Decine di studi, anche made in Usa, dimostrano che il trattamento forzato di «tossicodipendenti», oltre che esser ad alto rischio di violazione di diritti umani, raramente risulta essere efficace. Se a questa «agenda Marino» si aggiunge poi il fatto che già oggi negli Usa esistono le cosiddette Drug Court, una sorta di sistema alternativo alla giustizia penale che prevede obbligo di disintossicazione per ottenere pene minori, e si pensa che a capo del Dipartimento della giustizia c’è l’ultra-conservatore Jeff Sessions, è ragionevole ipotizzare un ritorno al passato in termini di politiche anti-droga e l’apertura di un aspro confronto, che potrebbe tornare a interessare la Corte Suprema, tra Washington e gli Stati che hanno legalizzato la cannabis.

Eppure mesi fa Trump aveva minacciato di tagliare quasi del tutto i finanziamenti all’Ufficio per le politiche di controllo delle droghe ritenendoli soldi sprecati, mentre in campagna elettorale non aveva criticato la cannabis medica ritenendo che le decisioni degli Stati non dovessero essere materia di competenza della Capitale. La necessaria caratterizzazione «repubblicana» deve aver concorso a questo cambiamento d’orientamento su questioni tradizionalmente conservatrici.

La nomina di Marino avviene in una fase politica sicuramente calda in generale per l’Amministrazione Tump e particolarmente per stati come la California che stanno definendo il quadro normativo e amministrativo della loro regolamentazione legale della cannabis.

A oggi sono 29 gli stati che hanno legalizzato la marijuana per uso medico mentre otto, più la capitale Washington, l’hanno legalizzata per qualsiasi fine. Secondo la Drug Policy Alliance i sondaggi confermano che la maggioranza degli elettori crede che la marijuana dovrebbe essere legalizzata come l’alcol; numeri che aumentano ulteriormente quando si chiede se gli Stati possano impostare le proprie politiche sulla cannabis senza interferenze federali.

Nel frattempo, decine di stati hanno riformato le pene per consumo personale e al Congresso una coalizione bipartisan per poco ha fallito una riforma penale federale relativa alle “droghe”.
Anche sugli stupefacenti l’Amministrazione Trump sembra andare nella direzione opposta agli orientamenti popolari; quanto mai potrà resistere?

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