«Ieri Kim ha mandato una comunicazione dicendo che degli aerei partiti dalla Crimea si stavano avvicinando volando bassi e che dovevamo affrettarci a trovare un rifugio», racconta Anna, mentre beve un caffè seduta su un muretto della piazza Kashtanovy a Mykolayiv.

Parla dell’ormai celebre governatore della sua regione, Vitaly Kim, come di un conoscente, quasi come se il messaggio l’avesse inviato a lei personalmente.

«Allora ho chiamato mia madre e le ho detto di correre nel rifugio, ma mi ha mandato a quel paese e ha risposto che non ne poteva più. Dieci minuti dopo però mi ha inviato un sms e mi ha scritto che era scesa e che aspettava che le dicessi quando poter risalire».

La stanchezza e l’esasperazione ritornano sempre nei racconti dei civili durante la guerra. Insieme alla paura, a volte al coraggio e quasi sempre a una grande umanità forse amplificata dal contesto tragico e dalle difficoltà.

Anna, nonostante i trent’anni, sembra una bambina quando racconta che il suo patrigno le ha detto che la ritirata da Kiev e Chernihiv potrebbe in realtà essere uno spostamento di truppe al sud per conquistare Mykolayiv. Mi chiede se sia vero e come sempre in questi casi rispondo che è difficile dirlo ma speriamo di no.

L’ipotesi è sostenuta da molti nel sud dell’Ucraina, nessuno si fida delle parole di Vladimir Medinsky, il capo della delegazione russa nelle trattative diplomatiche, secondo cui la Russia ha intenzione di allentare la presa sulla Kiev e sulle altre zone del paese che non siano nei pressi del Donbass.

«Poi ieri mattina mentre prendevo il caffè e fumavo una sigaretta, proprio lì (indica un chiosco a pochi metri), ho sentito un boato terrificante. Credo di essere quasi svenuta, non lo so, di sicuro mi sono messa a piangere».

Ci troviamo a meno di trecento metri dal palazzo dell’amministrazione regionale sventrato ieri mattina da un missile Kalibr, i marciapiedi sono ancora pieni dei frammenti di vetro delle finestre esplose per lo spostamento d’aria e i pompieri e le ruspe sono ancora al lavoro. Il bilancio è salito a 15 morti e 35 feriti, ma ci si aspettano numeri più alti.

Kim, come lo chiama Anna, forse era l’obiettivo principale dei russi (si sa che Putin lo odia, dopo Zelensky e Vereshchuk e uno dei simboli della resistenza ucraina), o forse era solo un modo per far capire che, per quanto sul campo le truppe di Kiev possano riportare piccole vittorie, la potenza di fuoco di Mosca è devastante. Una punizione e un monito.

Anche perché il fronte di Kherson è uno dei più attivi per quanto riguarda gli scontri di fanteria. La notte scorsa sono continuati gli scontri armati tra le truppe dell’avamposto ucraino di Luch e i russi a pochi chilometri di distanza, nei pressi di Posad-Pokrovs’ke.

I soldati ieri erano stremati e uno dei loro carri armati era parcheggiato fuori dal capannone agricolo usato come garage, i russi l’avevano danneggiato e non era stato più spostato. Tuttavia, lungo gli altri fronti non si può dire che la situazione sia più serena.

Per una volta non si può direche Zelensky aveva esagerato quando ieri, dopo le dichiarazioni del Cremlino che si impegnava a ridimensionare alcune delle sue operazioni militari, aveva reagito dicendo che quando si tratta con i russi «ci si può fidare solo dei risultati concreti».

E se leggiamo il bollettino dei bombardamenti di ieri i risultati concreti sono che i russi non hanno ridotto gli attacchi. La cosiddetta riduzione dell’attività nella regione di Chernihiv, ad esempio, «è stata dimostrata dagli attacchi nemici, compresi quelli aerei su Nizhyn, e per tutta la notte hanno bombardato Chernihiv», ha dichiarato il governatore regionale, Viacheslav Chaus, aggiungendo che nella sua regione sono state distrutte «infrastrutture civili, biblioteche, centri commerciali, molte case».

Il sindaco di Chernihiv, Vladyslav Atroshenko, ha rincarato la dose affermando ai microfoni dell’emittente americana Cnn che la sua città oggi è stata vittima di un «attacco colossale» e che nei bombardamenti durati ore sarebbero stati feriti almeno 25 civili. Al momento non si hanno notizie di morti.

A Kiev, indicata come la principale beneficiaria del nuovo indirizzo bellico russo, sono continuati i bombardamenti sulla già martoriata cittadina di Bucha, su Vyshhorod e su Brovary. Anche qui gli amministratori e gli ufficiali locali hanno rilasciato dichiarazioni molto dure contro l’inaffidabilità delle parole nemiche.

Sarà per questo, forse, che a metà giornata il portavoce del ministero della Difesa russo, il generale Igor Konashenkov, ha voluto chiarire che il suo esercito ha colpito dei depositi di carburante in due città dell’Ucraina centrale con missili da crociera a lungo raggio lanciati dall’aria. In altri termini, secondo Mosca si trattava di obiettivi strategici.

Inoltre, sempre secondo Konashenkov, le forze russe hanno colpito un quartier generale delle forze speciali ucraine nella regione meridionale di Mykolaiv e due depositi di munizioni nella regione di Donetsk.

Sempre secondo fonti russe, i separatisti del Donbass hanno accusato gli ucraini di aver colpito un palazzo residenziale occupato solo da civili nella città di Donetsk causando la morte di due persone. A fine giornata non era ancora giunta una risposta ufficiale da fonti ucraine.

Ciò che invece gli ucraini dicono è che tre aerei da caccia russi sarebbero stati abbattuti dalla loro contraerea vicino Kharkiv che oggi è stata colpita di nuovo insieme a Izyum, una delle principali città dell’est che resiste stoicamente come le sorelle maggiori all’avanzata russa.

In serata è giunta la notizia che anche Dnipro è stata bombardata alle 20 circa. Questa città di più di un milione d’abitanti finora aveva subito pochissimi attacchi (dei quali uno aveva danneggiato seriamente l’aeroporto) e infatti era stata scelta da molti come rifugio sicuro.

Le autorità locali non hanno voluto rivelare ancora l’entità dei danni e la natura degli obiettivi colpiti, il che generalmente non lascia ben sperare per gli ucraini.

Leggere ieri mattina sulla maggior parte delle prime pagine dei giornali che gli incontri di martedì avevano aperto delle possibilità al «cessate il fuoco» ora, al termine di una giornata di intensi bombardamenti, di morte e di distruzione, fa pensare che quegli stessi scampoli di speranza siano invece ripiombati nella voragine della violenza.