Con la mancata decisione sulla gratuità della pillola contraccettiva, il Cda dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa) ha deciso di buttare la palla in tribuna, sperando che il match riprenda il più tardi possibile. È un segnale grave perché assomiglia a un “no” all’accesso gratuito alla contraccezione previsto dalla legge. Il Cda presieduto dal virologo Giorgio Palù ha infatti chiesto un supplemento di istruttoria alle commissioni tecniche dell’Agenzia, sapendo che la prossima entrata in vigore della riforma dell’Aifa sta per sostituirle con un nuovo organo tutto da nominare. Per assicurarsi che il pallone non torni in campo a breve, Palù ha annunciato anche l’istituzione di un irrituale «tavolo di concertazione» con ministero e conferenza delle regioni: un inedito assoluto in ambito farmaceutico che comporterà ulteriori ritardi. Il rischio che il dossier si areni o che l’iter riparta dal punto di partenza a questo punto è altissimo.

La non-decisione è una forzatura con pochi precedenti. I pareri sulla base dei quali il Cda avrebbe dovuto deliberare erano infatti inequivocabili. La Commissione tecnico scientifica ha stabilito la sicurezza e l’efficacia dei diversi contraccettivi disponibili sul mercato. Il Comitato prezzi e rimborsi ne ha accertato la sostenibilità senza specificare limiti di età o di reddito. Non poteva essere altrimenti: garantire l’accesso alla pillola a tutte le donne comporta una spesa a carico dello Stato compresa tra i 140 e i 240 milioni di euro a seconda dei prodotti inseriti nel perimetro della gratuità e si tratta di una cifra perfettamente sostenibile. Nel fondo stanziato dal governo per la spesa farmaceutica del 2022 sono rimasti oltre 700 milioni di euro non utilizzati. Dunque, nemmeno l’indisponibilità a stanziare un fondo apposito per finanziare la pillola gratuita dichiarata dal governo in Parlamento costituisce un ostacolo alla sua approvazione.

Peraltro la gratuità dei contraccettivi è già prevista da decenni. La legge 405 del 1975 che istituiva i consultori stabilisce che «l’onere delle prescrizioni di prodotti farmaceutici va a carico dell’ente o del servizio cui compete l’assistenza sanitaria» compresi «i mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile». La legge 194 del 1978 estendeva il diritto anche alle persone minori senza il consenso dei genitori. Dunque, garantire l’accesso gratuito alla contraccezione rappresenta un semplice adeguamento alle leggi vigenti.
Senza giustificazioni dal punto di vista scientifico e sanitario, il diniego del Cda dell’Aifa appare dettato da una pura logica politica.

Dopo il via libera degli organi tecnici molti esponenti del mondo pro-life avevano protestato ritenendo che la gratuità «va nella direzione opposta rispetto al problema della denatalità» (Massimo Gandolfini, organizzatore del Family Day): come se l’Italia dovesse essere ripopolata a forza di gravidanze indesiderate. La campagna anti-abortista della ministra della famiglia Eugenia Roccella va nella stessa direzione. Il Cda dell’Aifa a composizione interamente maschile ha puntualmente ascoltato questi settori, parte integrante della destra di governo.

Il presidente dell’agenzia Giorgio Palù d’altronde non è stato scelto per caso: la sua nomina nel 2021 fu caldeggiata da Matteo Salvini in persona, al fine di riequilibrare l’Agenzia ritenuta troppo indipendente sotto la direzione del farmacologo Nicola Magrini. Palù è noto per i suoi ottimi rapporti con l’associazione delle imprese farmaceutiche Farmindustria e per aver sposato molte battaglie leghiste riguardo la gestione della pandemia.

La decisione sulla pillola, in cui il virologo ha fatto pesare il suo ruolo, è un assaggio della riforma in arrivo che cancellerà la figura del direttore generale per concentrare il potere decisionale nelle mani del presidente.

La vicenda non dovrebbe indignare solo le femministe. L’Aifa vigila sulla sicurezza, sull’efficacia e sull’appropriatezza dei farmaci e delle terapie a cui ci sottoponiamo tutti. L’agenzia fu creata nel 2003 proprio per sottrarre al governo queste funzioni, che richiedono la massima indipendenza da interessi di natura politica e commerciale. Se invece, com’è avvenuto nel caso della pillola, le richieste di una parte politica hanno la meglio sulle evidenze scientifiche, il suo ruolo di garanzia viene meno. È una brutta notizia per i ricercatori che non potranno contare su un organo di valutazione indipendente. Ma è pessima per i cittadini: quando un’agenzia di controllo si mostra disponibile ai voleri del controllato diventa lecito sospettare di ogni decisione in materia di salute pubblica.