Sul debito pubblico si sta lentamente riaprendo un dibattito. La scorsa settimana è apparso un lungo articolo sul Sole 24 ore a firma Marco Fortis, che evidenziava la sostenibilità del debito pubblico italiano, o quanto meno, la situazione non peggiore del nostro paese rispetto ai principali competitor. Il punto di partenza è il superamento in termini assoluti del valore del debito sovrano francese rispetto a quello nostrano nel terzo trimestre del 2023, superamento di ben 244 miliardi di euro.

Fortis sottolinea che «Parigi ha sorpassato Roma al galoppo» e che il rapporto debito/Pil «non sia un infallibile metro di giudizio» per soppesare la sostenibilità dei debiti pubblici. La Francia, infatti, ha ora un debito pari al 112% del Pil, cifra di poco inferiore a quella italiana nel drammatico 2011.

Cosa accadrebbe se le istituzioni internazionali trattassero la Francia con la medesima severità adottata all’epoca per l’Italia? Oppure che accadrà agli Usa se, come predice il Fmi, nel 2028 il loro debito supererà il 137%, cioè si avvicinerà a quel 140% su cui si sta posizionando attualmente il debito italiano? Perché, in sostanza, la nostra economia viene giudicata così male in paragone ad altre che veleggiano nella stessa direzione, perlomeno in termini di finanza pubblica?

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Indubbiamente anche altri elementi di giudizio «misurano l’affidabilità» di un debito sovrano. Instabilità politica, debolezza dell’amministrazione pubblica, crescente antieuropeismo delle classi dirigenti emergenti. Ma sono elementi sufficienti, si domanda Fortis, a declassare un paese che resta seconda potenza manifatturiera continentale, con un surplus commerciale con l’estero che gli altri paesi latini non hanno? Fortis coglie un punto importante: siamo in presenza di una crescita generalizzata dei debiti pubblici e l’Italia non è più l’anomalia, la pecora nera, come nel contesto degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso.

Questo, però, non è tanto dovuto a segnali di particolari vitalità della nostra economia, quanto alla generalizzazione delle difficoltà che il nostro paese aveva già sperimentato, seppur con forme specifiche. È vero che il debito della Francia ha raggiunto quello dell’Italia del 2011, ma se la Francia dovesse affrontare una crisi come quella italiana del 2011 allora cosa accadrebbe al Belpaese in cui nel frattempo il rapporto debito/Pil è salito di altri 23 punti? Indubbiamente l’elevato debito pubblico italiano è un problema che ci trasciniamo da tempo.

Abbiamo inanellato una lunga serie di avanzi primari dagli anni Novanta, ma il costo degli interessi e la bassa crescita non hanno mai permesso di ridurre il rapporto debito/Pil, che ad ogni crisi si è puntualmente dilatato. Dal fallimento Lehmann Brothers il rapporto debito/Pil è salito complessivamente di circa 37 punti. Fortis mette l’accento anche sul fatto che meno di un terzo dei titoli di debito italiano è in mano straniera, mentre quello francese lo è per quasi la metà.

Va anche detto che, dai picchi pre 2008 in cui gli investitori stranieri non erano lontani dal 50%, la riduzione è stata determinata in particolare dalla Banca centrale, la quale nel periodo 2014-2021 è passata dal detenere titoli per quasi il 5% a superare il 26% del valore complessivo. Un interventismo straordinario, ma necessario per superare un lungo periodo di difficoltà, raffreddando il prezzo da pagare in interessi. Da questo punto di vista non ci convince Fortis quando sottolinea che l’Italia nel suo complesso ha soprattutto un problema di comunicazione sul suo debito.

Le debolezze italiane ci sono, e in parte sono anche superiori a quelle dei paesi competitor. Recentemente ci siamo indebitati meno di molti paesi a noi comparabili? Su questo siamo d’accordo. Ma qui si tratta, dunque, di evidenziare il dato più macroscopico, di vedere la luna e non il dito. La crisi economico-finanziaria del 2007-2009 di natura globale prima e la pandemia e il ritorno di conflitti militari su larga scala poi hanno evidenziato la fine della spinta propulsiva di un sistema di accumulazione basato sul debito privato e sul ruolo centrale della finanza. Costringendo tutti i principali paesi, Cina compresa, ad aumentare enormemente il debito pubblico per assorbire quello privato e salvare al contempo il sistema economico-finanziario.

L’anomalia italiana è divenuta sempre più globale. Tutti i paesi del G7 (tranne la Germania che è comunque fuori dai parametri di Maastricht), hanno un debito che supera il 100% del Pil. Non intendiamo appellarci al proverbio «mal comune mezzo gaudio», ma provare a mettere in fila le cose nel giusto ordine. La convergenza al rialzo dei debiti pubblici non è il sintomo di un rilancio italiano, ma espressione delle contraddizioni economiche accumulate ed esplose negli ultimi decenni.