«Mio papà ha appena confermato la scelta di morire. Io sono arrivata dalla California per essere qui con lui in questi giorni. In California, la scelta che ha fatto mio papà è legale e, nel caso di una malattia come la sua, avrebbe potuto scegliere di morire in casa, circondato dai suoi cari e dalla sua famiglia. Noi abbiamo dovuto fare questo viaggio per venire in Svizzera perché lui potesse fare questa scelta e io spero che in Italia, presto, sia possibile per le persone poter fare questa scelta a casa propria e morire a casa propria, circondate dalle persone care». Con queste parole la figlia Francesca ha dato notizia del suicidio assistito di suo padre, il signor Romano, 82 anni, di origini toscane e residente a Peschiera Borromeo, affetto da Parkinson atipico dal 2020.

Il signor Romano non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, pertanto era escluso dalla possibilità di accedere al suicidio assistito in Italia poiché privo di uno dei requisiti della sentenza della Consulta emessa sul caso Cappato/Dj Fabo. Ed è proprio a Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, che si era rivolto l’uomo, ex giornalista e pubblicitario, da anni costretto a letto dalla malattia tra forti dolori muscolari, in una condizione irreversibile che gli impediva di leggere, scrivere e fare qualsiasi cosa in autonomia, «una malattia – come spiegava sua moglie – molto aggressiva che gli ha paralizzato completamente gli arti e che ha prodotto una disfagia molto severa che lo porterà a breve a una alimentazione forzata. Ma mio marito non vuole più soffrire».

Il signor Romano non voleva neppure creare problemi legali ai suoi famigliari, «visto che nel nostro Paese non esiste un quadro legislativo chiaro sulla scelta del fine vita che è un diritto fondamentale dell’uomo». E infatti Cappato, che si autodenuncerà questa mattina ai Carabinieri di Milano, rischia per la sua nuova disobbedienza civile ancora una volta 12 anni di carcere. «Sono passati quattro anni da quando la Corte costituzionale ha chiesto per la prima volta al Parlamento di intervenire – ha ricordato Cappato – Ritengo indegno di un Paese civile continuare a tollerare l’esilio della morte in clandestinità di persone che patiscono sofferenze insopportabili e irreversibili».