Massimiliano, detto Mib, è morto ieri in una clinica svizzera con il suicidio assistito. Il 44enne toscano da sei anni era malato di sclerosi multipla, la malattia era progredita al punto da non essere più autonomo. Lunedì aveva lanciato un appello per «essere aiutato a morire a casa», in Italia, vicino alla famiglia. «Mi sento intrappolato in un corpo che non funziona più» aveva spiegato. A raccontarne il percorso è stata l’associazione Luca Coscioni, a cui l’uomo si era rivolto: «È stato accompagnato in clinica da Felicetta Maltese, attivista della campagna Eutanasia Legale, e da Chiara Lalli, giornalista e bioeticista». Oggi entrambe andranno ad autodenunciarsi ai carabinieri di Firenze: per la loro disobbedienza civile rischiano fino a 12 anni di carcere per il reato di aiuto al suicidio.

ANCHE MARCO CAPPATO, che pure non ha direttamente accompagnato Massimiliano, si autodenuncerà in veste di legale rappresentante dell’associazione Soccorso civile, che ha organizzato e finanziato il viaggio in Svizzera: non essendo tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, Massimiliano non poteva accedere al suicidio assistito in Italia.

LA SENTENZA 242 del 2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato – Dj Fabo fissa infatti dei requisiti tassativi: il malato che ne fa richiesta deve essere affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, capace di prendere decisioni libere e consapevoli e tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (condizioni verificate dal Sistema sanitario nazionale). Prima di partire per la Svizzera, Massimiliano aveva fatto un ultimo video appello. Mercoledì era stato suo padre Bruno a chiedere il rispetto della libertà di scelta del figlio: «È cosciente della sua vita, è lucido di mente. È arrivato a questo punto perché non ce la fa più, è una sofferenza continua. È un volere suo, perché negare questo volere? Il corpo è suo, lo sente lui cosa soffre. E noi non possiamo dire di no. Sarebbe solo egoismo, per farlo soffrire ancora di più. Vorrei che fosse una cosa fatta in Italia».

L’ULTIMO MESSAGGIO di Massimiliano: «Sono quasi completamente paralizzato e faccio fatica anche a parlare. Da un paio di anni, siccome non ce la faccio più, ho iniziato a documentarmi su internet su metodi di suicidio indolore e finalmente ho raggiunto il mio sogno. Peccato che non l’ho raggiunto in Italia, ma mi tocca andare all’estero. Perché non posso farlo in Italia? A casa mia, anche in un ospedale, con i parenti, gli amici vicino. Non mi sembra una cosa logica questa: sono costretto ad andarmene via, per andarmene via».

NEGLI ULTIMI 12 MESI sono oltre 9.700 le persone che hanno chiesto informazioni sul fine vita all’associazione Luca Coscioni. Filomena Gallo, avvocata e segretario nazionale dell’associazione: «La politica si volge dall’altro lato. Fa finta che queste richieste non esistano. Lo abbiamo visto anche con Massimiliano, non c’è stata nessuna presa di atto rispetto al suo appello. Almeno potevano rispondere, dire che non è una priorità. Ma il compito del legislatore rimane, i malati come Massimiliano sono discriminati anche se la loro volontà è la stessa di chi ha sostegni vitali». Per concludere: «La Corte costituzionale fin dal 2018 ha rilevato che nel nostro ordinamento c’è un vulnus. Il Parlamento ha fatto un tentativo nella scorsa legislatura che era addirittura un passo indietro, per fortuna quella legge non è stata emanata».