La prevenzione e il contrasto al «drammatico fenomeno dei suicidi» e la «riduzione del disagio», nell’ambito della popolazione detenuta, inizia con cinque milioni di euro assegnati all’amministrazione penitenziaria «per il potenziamento dei servizi trattamentali e psicologici negli istituti». Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha annunciato ieri di aver firmato un decreto ad hoc, con l’intenzione di potenziare i servizi interni alle carceri coinvolgendo «esperti specializzati e professionisti esterni all’amministrazione». Contemporaneamente però, insieme al ministero degli Esteri, il Guardasigilli starebbe lavorando a un piano di Palazzo Chigi per sottoscrivere accordi bilaterali con alcuni Stati africani (Marocco, Tunisia, Egitto, Nigeria) al fine di far scontare ai detenuti stranieri la pena nei loro Paesi d’origine, sul format delle intese stipulate con Albania e Romania. Accordi che però si sono già rivelati di difficile applicazione e rischiano di rimanere solo una photo opportunity per molti motivi, primo tra tutti la mancanza di garanzie in tema di diritti umani di certi Paesi.

MA QUANTO FRUTTANO CINQUE milioni in termini di servizi trattamentali e psicologici, da potenziare coinvolgendo «esperti specializzati e professionisti esterni all’amministrazione», come ha spiegato il ministro? Secondo Nordio, lo stanziamento annuale di bilancio è stato «più che raddoppiato», «a conferma dell’impegno da parte del governo nella pronta adozione di misure necessarie per migliorare le condizioni detentive negli istituti penitenziari anche in vista – ha affermato – di un intervento più strutturato e duraturo nel tempo da proporre come priorità nella prossima legge di bilancio».

SÌ, PERCHÉ SE SI RIPARTISCONO cinque milioni di euro per ciascuno dei 61.075 detenuti presenti (nella giornata di ieri) nei 42.276 posti regolamentari disponibili, con un indice di affollamento pari a 129,19% (rilevazione Dap del 4 aprile), si fa presto il conto: si tratta di poco meno di 82 euro a testa. E, stando sempre alla statistica eventi elaborata dal Dap ieri, la situazione nelle carceri è la seguente: dall’inizio dell’anno si sono contati 3194 atti di autolesionismo (+107 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), 29 suicidi (erano 16 nel 2023), 489 tentati suicidi (+38 rispetto all’anno scorso), 1931 detenuti in sciopero della fame o della sete (304 in meno), 492 aggressioni fisiche al personale di polizia penitenziaria (con un calo di 109 eventi rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso). Con un tasso di crescita di 400 detenuti in più al mese e oltre un terzo dei reclusi – si badi bene – condannato ad una pena inferiore ai cinque anni. In poche parole, una situazione drammatica.

SONO NUMERI CHE DI CERTO non sfuggiranno al Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene e trattamenti inumani o degradanti (Cpt) del Consiglio d’Europa che si trova in questi giorni in Italia, ispezionando carceri e Cpr, e che tra pochi giorni presenterà il suo rapporto. Roma non può permettersi di uscirne male, dal report che verrà stilato dalla delegazione guidata dal capo del Cpt, Alan Mitchell. Non a pochi mesi dal voto europeo, non durante la sovraesposizione mediatica dovuta al caso Salis. E l’impossibilità di garantire ai propri detenuti un trattamento rispettoso della Convenzione europea per la prevenzione della tortura, nel momento in cui fossero affidati a dipartimenti penitenziari stranieri, è il motivo per il quale difficilmente si riusciranno a applicare accordi bilaterali in materia di giustizia con Paesi come l’Egitto o la Nigeria. Tanto più che perfino con l’Albania – si veda il caso del detenuto albanese nel carcere di Torino che non è mai stato rimpatriato – non si è riusciti a dare seguito alla stretta di mano con cui il ministro Nordio e il suo omologo Ulsi Manja avevano suggellato il patto bilaterale.

IN SOSTANZA, si sta cercando qualsiasi modo per evitare di ricorrere a misure di clemenza o semplicemente a sconti di pena come quelli previsti dal ddl Giachetti-Bernardini sulla liberazione anticipata, un testo fermo in commissione Giustizia alla Camera perché osteggiato dalla Lega. Ed è lo stesso sottosegretario Andrea Ostellari che rivendica ora come «promessa mantenuta» la sottoscrizione dei 5 milioni di euro annunciati ieri per coprire, come spiega egli stesso, l’aumento di retribuzione lorda degli psicologi penitenziari, passato un mese fa da 17 a 30 euro lordi l’ora. Proprio per questo motivo, puntualizza però il sindacato penitenziario Uilpa, «diversamente da quanto annunciato», quei fondi «sacrosanti e doverosi» non sono destinati «a migliorare il servizio all’utenza, ma a mantenere lo status quo».