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Suicidi in carcere e custodia cautelare, dall’Ue doppio monito

Suicidi in carcere e custodia cautelare, dall’Ue doppio monitoConsiglio d'Europa

Raccomandazioni dal Consiglio d'Europa e dal commissario alla Giustizia Reynders. Il Garante dei detenuti Mauro Palma: «Nel 2016 Strasburgo aveva chiuso il "caso Italia". Siamo tornati indietro»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 9 giugno 2023

Non una ma due bacchettate nello stesso giorno all’Italia da parte dell’Unione europea riguardo il nostro sistema penitenziario e di giustizia. Da un lato, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che chiede uno sforzo per prevenire i suicidi in carcere e per tutelare la salute mentale dei detenuti. E dall’altro, l’ultimo Quadro di valutazione dell’Ue sui sistemi giudiziari degli Stati membri che fotografa l’Italia tra i Paesi lumaca in molti campi e in particolare nell’attuare le buone riforme, come quella voluta dall’ex ministra Marta Cartabia, nell’assicurare ai cittadini la giustizia civile, nel promuovere le donne a capo delle corti supreme, e comunque tra i peggiori Paesi se si analizza la percezione generale che la popolazione ha dell’indipendenza della magistratura dal potere politico.

«I suicidi in carcere nel 2022 hanno raggiunto un livello senza precedenti», nota il Consiglio d’Europa che chiede a Roma di migliorare le misure anti-suicidio e «proseguire gli sforzi per assicurare una capacità sufficiente delle Rems», le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza che hanno preso il posto degli Ospedali psichiatrici giudiziari. L’organizzazione internazionale di Strasburgo ha appena concluso l’esame delle azioni messe in campo dal governo italiano per rispondere in modo adeguato a due condanne pronunciate dalla Corte europea dei diritti umani sull’inaccessibilità delle Rems. Pur apprezzando «l’adozione nel 2017 di un piano d’azione nazionale globale per la prevenzione del suicidio e dell’autolesionismo in carcere», il Comitato chiede di applicare immediatamente «in ogni carcere» italiano le linee guida e le recenti raccomandazioni del Dap, e che «siano forniti finanziamenti sufficienti a tal fine». Allo stesso modo, pur verificando una riduzione del 45% del numero di detenuti cosiddetti “folli-rei” in attesa di un posto nelle Rems, grazie ad una serie di misure già prese, il Comitato «incoraggia l’Italia a proseguire gli sforzi per assicurare una capacità sufficiente delle Rems». Al governo è richiesto un feedback entro dicembre su entrambe le questioni.

Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti dei detenuti, è d’accordo in parte: «Il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nel 2016 dichiarò chiuso il “caso Italia” apprezzando le azioni messe in campo dopo la sentenza Torreggiani. Ora – fa notare al manifesto – che sette anni dopo lo stesso organismo torni a esprimere preoccupazione è indicativo di come forse tutti noi abbiamo allentato l’attenzione». In sostanza, l’Italia è tornata indietro in questo campo, avverte il Garante. Sulle Rems invece Palma crede che «la legge che le regola, per quanto acerba, funziona. C’è bisogno di qualche ritocco ma senza invertire la rotta – avverte – nelle Rems devono andare solo coloro che sono stati giudicati incapaci di intendere e volere nel momento del reato. Per tutti gli altri vanno fatte funzionare le articolazioni per la tutela della salute mentale, che devono prevedere anche la possibilità di interrompere la detenzione dei folli-rei con il trasferimento in altre strutture».

Il commissario Ue alla Giustizia Didier Reynders considera invece la riforma Cartabia una di quelle che hanno portato «per la prima volta dati in miglioramento». Presentando ieri l’XI edizione dello «Scoreboard» dei sistemi giudiziari dei Paesi Ue, Reynders ha apprezzato in particolare la «digitalizzazione della giustizia» italiana, che «è stato uno degli elementi più importanti del Pnrr, come in altri Paesi». Ma, malgrado alcuni avanzamenti, è «importante attuare le riforme raccomandate dall’Ue», ha sottolineato il commissario europeo annunciando per oggi «un contatto con il ministro della Giustizia Nordio per vedere come è possibile procedere nell’attuazione di quelle riforme». In particolare l’Italia ha bisogno di progredire soprattutto nella giustizia civile, la seconda più lenta dell’Ue, migliore solo di quella greca, con «un’attesa media di circa 550 giorni per ottenere una decisione di primo grado, 800 per l’appello e mille per la sentenza definitiva». Altro punto dolente è «la percezione dell’indipendenza giudiziaria», nella cui classifica l’Italia occupa la parte bassa, essendo «aumentata tra i cittadini e leggermente diminuita tra le aziende».

Un discorso a parte Reynders lo dedica al carcere: «Siamo preoccupati per le enormi differenze tra gli Stati membri sulla custodia cautelare, con un’alta percentuale di persone in carcere in custodia cautelare in alcuni Stati e un livello molto basso in altri». In Italia il 28%, quasi un detenuto su tre (soprattutto stranieri), è in cella in attesa di una sentenza definitiva. Malgrado sia «competenza nazionale organizzare la situazione nelle carceri», Reynders ha però «avviato una discussione con tutti i ministri della Giustizia». La proposta è di pensare a soluzioni alternative al carcere.

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