Alle parole del ministro Carlo Nordio, pronunciate in Commissione Giustizia del Senato, sembra rispondere indirettamente lo studio sui suicidi in cella che sta conducendo l’ufficio del Garante nazionale dei diritti dei detenuti e anticipato ieri con i primi risultati. Il Guardasigilli – che oggi per assistere alla prima della Scala diserterà il Palco reale riservato alle massime autorità dello Stato e seguirà invece il «Boris Gudanov» insieme ai detenuti del carcere milanese di San Vittore – ha rivelato di aver «vissuto con grande dolore la sequenza di suicidi» e di aver attivato per questo «una pressante energia per limitare i tagli previsti dalla legge di bilancio e per devolvere al settore eventuali risorse disponibili». Ma le soluzioni che individua Nordio nel suo programma – peraltro in apparente discordia con le azioni del suo governo – sono quelle indicate dal Garante?

È un numero effettivamente impressionante, quello dei suicidi in carcere: «Nel 2022, in 11 mesi, negli Istituti penitenziari sono decedute 194 persone – si legge nel rapporto del Garante – 82 per cause naturali, 79 per suicidio (secondo alcuni calcoli sarebbero 80, ma solo perché il primo suicidio è stato registrato nel nuovo anno anche se avvenuto nel 2021, ndr), 30 per cause da accertare e 3 per cause accidentali». Un numero record assoluto, mentre negli ultimi dieci anni la popolazione detenuta è perfino diminuita di 11.687 unità, e tanto più allarmante se si pensa che «l’Italia – come scrive Mauro Palma nell’introduzione del dossier -, nel confronto con altri Paesi europei, non ha un’alta percentuale media di suicidi nell’anno, ma tale valore cresce secondo un fattore moltiplicativo di più di 15 volte quando si considera il sottoinsieme della popolazione detenuta. Più di quanto non cresca in termini relativi in altri Paesi che partono da valori esterni maggiori». Secondo Palma, «i suicidi non interrogano solo chi ha la responsabilità diretta della detenzione» ma «tutta la collettività esterna». Infatti, negli ultimi 10 anni, negli Istituti italiani «si sono verificati 583 suicidi, di persone di età compresa tra i 18 anni e gli 83 anni; quasi la metà delle persone era in attesa di una sentenza definitiva (tasso simile nel 2022)».

Anche analizzando i dati di quest’anno, «a dispetto di quanto ci si potrebbe aspettare, le condizioni della vita detentiva o la durata della pena ancora da scontare o della carcerazione preventiva spesso non sembrano risultare determinanti nella scelta di togliersi la vita». Infatti, «troppo breve è stata in molti casi la permanenza all’interno del carcere, troppo frequenti sono anche i casi di persone che presto sarebbero uscite. In questi casi – si legge nel rapporto – sembra piuttosto che lo stigma percepito dell’essere approdati in carcere costituisca l’elemento cruciale che spinga al gesto estremo». Infatti: «49 persone, pari al 62 % del totale, si sono suicidate nei primi sei mesi di detenzione; di queste, 21 nei primi tre mesi dall’ingresso in Istituto e 15 entro i primi 10 giorni, 9 delle quali addirittura entro le prime 24 ore dall’ingresso. Questo vuol dire che circa un suicidio su 5 si verifica nei primi 10 giorni dall’ingresso nel carcere». Inoltre, «fra le 79 persone suicidatesi, 5 avrebbero completato la pena entro l’anno in corso, 39 avevano una pena residua inferiore a 3 anni; solo 4 avevano una pena residua superiore ai 3 anni e una soltanto aveva una pena residua superiore ai 10 anni. Un picco si è registrato nel mese di agosto, quando in carcere gran parte delle attività si fermano, con ben 17 casi».

Nordio ricorda poi anche il problema del sovraffollamento, che «deve essere risolto» ripensando «l’intera edilizia» penitenziaria con un «commissario ad hoc». Secondo Palma, però, il decadimento delle strutture e l’insufficiente spazio vitale sono la «concausa di un senso di vuoto invivibile che può determinare la scelta estrema, ma non la causa principale». In ogni caso, anche per il ministro, nel ripensare il trattamento penitenziario, vanno poste particolari «tutele per i fragili, potenziando il coordinamento con le autorità sanitarie gli enti locali e le comunità terapeutiche. L’obiettivo – dice Nordio – è individuare fin dall’inizio le persone con problematiche da dipendenza o con patologie psichiatriche o rischio di autolesionismo». E infatti, rileva il Garante, «dei 79 casi di suicidio registrati (74 uomini e 5 donne) 33 riguardano persone riconosciute con fragilità personali o sociali (senza fissa dimora, persone con disagio psichico, ecc.)». Eppure, fa notare Palma, «l’analisi dei casi di suicidi in carcere conferma questa necessità di un discorso pubblico diverso sulla pena», «non connotato ideologicamente, ma riportato nel solco dell’utilità della funzione penale, dei suoi limiti, delle sue necessità in termini di qualità professionale e di capacità di allineamento con lo svolgersi della vita esterna. Tutto ciò ancor prima del tema, peraltro urgente, della riqualificazione materiale delle strutture».

Da garantista quale è, comunque Nordio ammette che «certezza della pena non significa sempre e solo carcere», e che per i «reati minori» le misure alternative sono «più efficaci». E arriva addirittura a rispolverare le sue antiche convinzioni riguardo l’amnistia: a forza di schierarsi contro di essa, afferma, si è ottenuto «il paradossale effetto di associare l’impunità del crimine all’impotenza dello Stato». «Lo sosteneva già 10 anni fa – ricorda Rita Bernardini, dirigente del Partito radicale – quando, come magistrato e come cittadino, sposò la lotta di Pannella per l’amnistia. Ora che è ministro può incidere in modo determinante per riformare un sistema ormai incapace di fornire il servizio giustizia al cittadino».