Scaduta l’ennesima tregua non rispettata e interrotti i colloqui in corso tra le parti in Arabia saudita, nessuna pietà sembra manifestarsi per i civili intrappolati nel conflitto sudanese.

A Khartoum, Omdurman, Bahri e in altre zone del paese, in particolare nel Darfur occidentale, con aumento esponenziale dei bisogni per le popolazioni colpite e le denunce di abusi d’ogni sorta sui più fragili, la guerra tra esercito e paramilitari ieri è potuta continuare così come era cominciata lo scorso 15 aprile. Con la differenza che un mese e mezzo dopo i morti civili (censiti) sono quasi un migliaio (190 bambini) e oltre un milione e mezzo di persone si sono messe in movimento verso zone più sicure dentro e fuori il paese, creando enorme emergenza nell’emergenza.

Khartoum, 30 maggio 2023. Il generale Abdel-Fattah Burhan visita le truppe, in un video diffuso dalle Forze armate sudanesi (Ap)
In this photo released by the Sudanese Army on Tuesday, May 30, 2023, Gen. Abdel-Fattah Burhan visits the troops in Khartoum, Sudan. (Sudanese Army via AP)

Neanche la storia raccapricciante dell’orfanotrofio al-Mayqoma di Khartoum, documentata dall’Associated Press, ha suscitato reazioni all’altezza.

DA SEI SETTIMANE sulla linea dei furiosi scontri in corso nella capitale, lo storico istituto di carità musulmano che accoglie orfani da zero a 13 anni è stato teatro dell’orrore, la morte di almeno 60 dei 340 bambini che ospitava prima della guerra. 27 solo nell’ultimo fine settimana.

Spostarli lontano dalle finestre per proteggerli da schegge e proiettili vaganti – hanno raccontato sconfortati alcuni operatori all’Ap – non è servito: sono stati uccisi dalla fame e dalle febbri, ovvero dalla guerra che ha completamente isolato la struttura e impedito la consegna degli aiuti umanitari. Solo giovedì un camion dell’Unicef si è materializzato di fronte al cancello.

Il cortile interno dell'orfanotrofio (Ap)

UNICEF NON È L’UNICA AGENZIA dell’Onu a lamentare la paralisi di tutte le attività umanitarie, a lanciare appelli e denunce, nella fattispecie per i «13,6 milioni di bambini che hanno urgente bisogno di assistenza in Sudan». All’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati che aveva già in carico decine di migliaia di persone in fuga da altri conflitti e della metà non conosce più la sorte, si dicono «turbati dalle notizie di violazioni dei diritti umani contro i rifugiati, come furti, minacce e violenze fisiche e sessuali». Vecchi e nuovi profughi abbandonati, proprio quando avrebbero più bisogno di protezione.
Il World Food Programme denuncia invece il saccheggio dei suoi depositi a El Obeid. Che «mette a rischio l’assistenza alimentare per 4,4 milioni di persone colpite dal conflitto». È l’ultimo di una lunga serie di episodi in cui le riserve immagazzinate in diverse aree del paese per fronteggiare crisi pre-esistenti sono diventate bottino di guerrra. L’allarme che ne deriva è che prossimamente l’insicurezza alimentare acuta potrebbe riguardare oltre 19 milioni di sudanesi, il 40% della popolazione.

DA GEDDA, proprio per la totale inadempienza degli accordi sottoscritti dalle delegazioni inviate dal leader dell’esercito e della giunta militare, generale Abdel Fattah al Burhan, e da quello delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemeti”, i mediatori statunitensi e sauditi hanno interrotto i colloqui, respingendo vari tentativi di riaprirli. Aver cannoneggiato per ore giorni fa il mercato di Moyo, nella zona sud della capitale, non ha offerto grandi credenziali. Almeno 30 i morti e oltre 100 i feriti. Gente che non è riuscita o non ha potuto permettersi di lasciare la città e si aggirava tra i banchi semivuoti , nella vana speranza che la tregua stavolta reggesse.

La Casa bianca, che fin qui si è esposta perché questo accadesse, ora annuncia sanzioni per quattro aziende che in passato gli accordi con gli Stati uniti hanno contribuito a rendere floride: due controllate da Hemeti con forti interessi minerari e due attivissime nel settore delle armi, legate alle Forze armate. Troppo poco e troppo tardi.