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Strage dei bambini, quale giustizia se la prescrivono

Strage dei bambini, quale giustizia se la prescrivono

Crimini sui migranti L’11 ottobre 2013, un barcone partito dalla Libia con 400 persone a bordo affondava in acque rientranti nella zona SAR maltese, ma a poche miglia da Lampedusa. Morirono 268 persone, […]

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 11 dicembre 2022

L’11 ottobre 2013, un barcone partito dalla Libia con 400 persone a bordo affondava in acque rientranti nella zona SAR maltese, ma a poche miglia da Lampedusa. Morirono 268 persone, in prevalenza siriani in fuga dalla guerra, di cui 60 bambini.

Viene definita la «Strage dei bambini» – se ne è occupato, tra i pochi e più volte il manifesto – e all’epoca suscitò non poca emozione nell’opinione pubblica italiana.

Nei giorni scorsi, il Tribunale di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere, perché i reati sono estinti per intervenuta prescrizione, trattandosi di omicidi colposi. La prescrizione è cosa ben diversa dalla dichiarazione di innocenza, ovviamente, lascia tuttavia un sapore terribilmente amaro che una strage di tale portata possa restare senza alcuna condanna, tanto più che il Comitato Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che nella circostanza l’Italia è venuta meno all’obbligo di tutelare il diritto alla vita dei migranti a bordo dell’imbarcazione e che la strage sarebbe stata imprescrittibile, se riconosciuta come crimine contro l’umanità. Un po’ come quando, fino a pochi anni fa, in Italia non si torturava, perché non c’era il reato di tortura.

Colpisce il divario tra l’enormità del fatto e la conclusione dell’iter processuale. Nessuno mette in discussione il diritto/dovere che hanno gli Stati di proteggere i propri confini, sia con le proprie forze armate che con accordi pattizi.

Eppure, non è un loro diritto l’omissione di soccorso, mentre è chiaro che il complesso sistema di difesa approntato dagli Stati occidentali mediante sommergibili, aerei spia, droni, satelliti, permette alle autorità militari preposte di seguire passo passo anche i più piccoli movimenti di gruppi umani verso l’Europa, nell’immenso retroterra africano, nell’Atlantico, nel Mediterraneo e nella rotta balcanica. Ben inefficaci d’altronde risulterebbero la difesa europea, e quella italiana in particolare, se un barcone con 400 persone a bordo potesse avvicinarsi alle nostre coste senza essere notato.

Gli Stati controllano, vedono, sanno quanto è consequenziale al momento tragico del respingimento, che spesso significa condanna a morte.

Deve ormai esserci chiaro che l’esternalizzazione delle frontiere altro non è che la progressiva creazione di un sistema concentrazionario ad intensità variabile, la cui finalità è il respingimento o l’eliminazione fisica di migranti e richiedenti asilo, sempre più a sud, nel nulla mediatico che permette di trasformarli nei desaparecidos dell’Europa opulenta nel nuovo millennio, perché il tutto avviene in modo da non bucare il muro di gomma dell’indifferenza mediatica.

Occorre inoltre realizzare che, per quanto siano ovvie le analogie con dinamiche genocidarie, non è possibile fare riferimento alla Convenzione contro il genocidio, in quanto si tratta di soggetti appartenenti a popoli, religioni e culture diverse. È il migrare in sé e per sé, che li accomuna, a venir preso di mira per l’annientamento.

Sembrerebbe necessario quindi valutare la possibilità di colmare l’esistente vuoto normativo, arrivando alla formulazione di una nuova fattispecie di crimine contro l’umanità, conseguente alle politiche di sistematico sterminio formulate dai Paesi occidentali.

Si potrebbe a tale fine tentare la definizione della categoria del migranticidio, applicabile all’uccisione in massa di migranti da qualunque Paese provengano, a qualunque religione o cultura appartengano, qualunque sia la loro lingua, per arrivare alla formulazione di una convenzione internazionale finalizzata alla sua prevenzione.

È da considerarsi scontata, in tale prospettiva, l’opposizione dei Paesi occidentali, sia europei che Nato (dagli Stati uniti all’Australia) sia di Cina e Russia che con gli Usa rifiutano le corti di giustizia internazionali, ma sembrerebbe allo stesso tempo possibile un’apertura da parte dei Paesi africani, asiatici e anche latinoamericani, che sono direttamente interessati alla tutela dei loro cittadini spinti ad intraprendere il tragico viaggio, mentre non necessariamente sono schierati su posizioni a tutti i costi atlantiste.

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