Con gelido cinismo travestito da buonsenso e, virgolette necessarie, «necessità di pacificazione», «memoria condivisa», ed altre scempiaggini melliflue che non reggerebbero non si dice qui a un’analisi storica, ma al semplice portato delle testimonianze, torna a spirare nel nostro Paese il vento triste carico del fiato fetido dei luoghi comuni neri, neri come la notte.

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Nella notte però, ci hanno insegnato migliaia di ragazze e ragazzi (e persone meno giovani) che ci hanno rimesso la vita, la salute, che sono passati attraverso l’inferno delle torture, ci guidano le stelle. Loro, i repubblichini, avevano i fari montati sui camion dei rastrellamenti condivisi con i camerati nazisti delle esse esse, la Resistenza aveva le stelle. Stelle in cielo, a guidare i passi di scarponi sfondati e di scarpe precarie, stelle sui berretti, a indicare una nuova volta celeste liberata dalla paura dei passi cadenzati, dalle leggi razziste, dalla miseria materiale e culturale. Quella frase sugli astri in cielo a guida, adattamento di un verso inchiavardato a memoria dentro «Fischia il vento», nella storia della più bella memorialistica partigiana ha dato nome a due libri importanti con lo stesso titolo: uno di Piero Gerola, partigiano bresciano delle Fiamme Verdi dell’alto bresciano, assieme ai fratelli, uno di Angelo Del Boca, diventato poi lo storico delle efferatezze colonialistiche e stragistiche in Africa degli «italiani brava gente», quelle che ha dimenticato di ricordare, di recente, Meloni in Etiopia.

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Nella notte ci guidano le stelle è ora anche un cd – book poetico, duro e diretto pubblicato per il 25 aprile da Squilibri che riunisce storie, canzoni, dipinti per festeggiare con rinnovata convinzione e scelta di campo: riannodando al capo della storia di oggi, marcata dal primo governo di estrema destra in Italia, quanto era già andato a far testimonianza con le storie racchiuse nel ’95 in Materiale Resistente, un pezzo rilevante della storia della Manifesto Dischi.

Allora si trattava di mandare un segnale forte e chiaro a un miliardario dalle dubbie frequentazioni che s’era preso l’Italia a botte di televisioni private, sorrisi di plastica sui manifesti e promesse fasulle. L’oggi ne è diretta conseguenza. La prima annotazione sul cd book va per la cornice narrativa che racchiude questi racconti che qualcuno vorrebbe far passare per polverosa nostalgia divisiva, ed è invece materia palpitante, coscienza civile, attualità profonda, in raccordo esplicito con le mille resistenze al sopruso in corso nel Pianeta: non a caso tutti gli utili della vendita andranno alla Mezzaluna Rossa Kurdistan. Il Paese che non c’è, o che forse ci ostiniamo a non voler vedere tranne quando ci fa comodo come argine intelligente e fattivo contro gli integralismi, dilaniato tra le carte geografiche e le bombe, fatto di persone che ci sono, invece, e resistono.

Curdo è Serhat Akbal, presente sul disco assieme a Kento e Besteriare per una fumigante rivisitazione di un canto rivoluzionario spagnolo. Il tutto si apre con Bella Ciao, una versione rarissima al femminile raccolta anni fa da Carlo Pestelli da una donna piemontese con un testo ben più scabro e duro, proposta da Lalli e gli Yo Yo Mundi. Lalli la affronta con un’intensità dolente, gli Yo Yo Mundi scolpiscono un memorabile riff elettrico a rinforzo, e il ricordo va a Brigata Alphaville, di Lalli, sul padre partigiano. Bella Ciao chiude anche il «frame» del disco: e stavolta è la versione di Vinicio Capossela con Dimitris Mystakidis. Nulla di casuale: Capossela ha appena pubblicato 13 canzoni urgenti, a fotografare in tempo reale il pessimo momento che attraversa l’Italia. E Bella Ciao, intanto, risuona in ogni angolo del pianeta dove sia conculcata la libertà di esistere e di gioire della vita. Dunque, un’apertura e una chiusura necessarie, come preziosi e necessari sono gli acquerelli di Beppe Stasi sui resistenti: una coniugazione delicata e possente di trasfigurazione onirica e realtà, nelle file di partigiani in marcia nel gelo o nella calura, o legati a quei pali dove aspettano il piombo dei repubblichini. Oltre ai nomi citati, troverete prove maiuscole e spesso sorprendenti di Paolo Benvegnù, Serena Altavilla e Paolo Monti, Cesare Basile, Marco Rovelli (curatore artistico del tutto) e Teho Teardo, Marlene Kuntz, Ardecore, Marisa Anderson dall’Oregon, Petra Magoni e Alessandro D’Alessandro, Massimo Zamboni, ’A 67, Mariposa.

L’angolo delle rarità deve mettere in conto, oltre alla Bella Ciao alternativa, almeno Amore Ribelle: si tratta di un antico canto anarchico dalla penna libertaria di Pietro Gori, che Rovelli sentì cantare anni fa da Alda Fruzzetti, una popolana di Forno, appena sopra Massa, dove la donna, allora bambina, fu testimone dell’eccidio nazifascista del 13 giugno 1944. Né deve sorprendere che da Rovelli sia stata fatta la scelta, in accordo con Domenico Ferraro di Squilibri, di dar spazio, oltre a i canti che raccontano di giovani e meno giovani che formarono le brigate partigiane, a quelli di chi si ritrovò sbandato, disertore e renitente alla leva. Era un momento in cui crollava una monarchia pusillanime, e rivendicarono “amor di patria”e “nazione” quelle stesse camicie nere che s’erano trasformate nei servi efferati dei nazisti in ritirata.

Nella notte ci guidano le stelle / Canti per la Resistenza ha anche una preziosa sponda audiovisiva nel video realizzato da Francesco Bartoli con materiali d’archivio tratti dal documentario Giorni di gloria del 1945. Le immagini scorrono accoppiate a Sbandati di Rovelli e Teardo. Il cd book, oltre ai nomi già citati, ha il patrocinio di Istituto nazionale Ferruccio Parri – Rete degli istituti per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea, Paesaggi della Memoria, Archivio Audiovisivo del Movimento operaio e democratico e Archivi della Resistenza. Nuovo e antico materiale resistente, insomma, per difendersi e insegnare a difendersi. Chi crede di non averne bisogno si accomodi nel girone degli indifferenti, quelli che si meritarono l’odio di Antonio Gramsci.