Gentile Direttore,
In merito all’articolo “Ccus, la controffensiva dei poteri forti” pubblicato dal Manifesto lo scorso 18 gennaio, Eni tiene a precisare che: la CCUS è un processo fondamentale per la transizione energetica, cruciale per abbattere le emissioni dell’industria hard to abate (cementifici, chimica etc) che non ha alternative altrettanto efficaci ed efficienti, come riconosciuto anche dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, dal Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico dell’Onu (Ipcc). La stessa Ue ha fissato l’obiettivo di catturare e stoccare 50 M ton di Co2 al 2030.

Ravenna Ccs e l’80% degli oltre 350 progetti Ccus in diverse fasi di sviluppo nel mondo hanno scopo esclusivamente ambientale e non sono legati alla produzione di idrocarburi.

La Ccus si basa su tecnologie provate ed efficaci, dai costi generalmente più competitivi di altre tecnologie.

La sicurezza dei siti di stoccaggio è garantita da un accurato processo di selezione e da normative che stabiliscono, tra l’altro, che il sito deve trovarsi in zona sismica a rischio basso: è il caso dei giacimenti esauriti del ravennate che per milioni di anni hanno contenuto gas naturale senza alcun problema anche in presenza di normale attività sismica.

L’ipotesi di attentati a oltre 2km di profondità è a dir poco fantasiosa. Come per ogni gas, il trasporto di Co2 impone adeguate norme di sicurezza, paragonabili o inferiori a quelle per il metano che attraversa le nostre città.

Gli incidenti citati, unici in 50 anni di operazioni Ccus negli Usa, non sono rappresentativi della realtà italiana dove i giacimenti sono offshore e la pressione di trasporto molto più bassa.

Ufficio stampa Eni

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Mi sembra che la richiesta di precisazione debba essere inviata all’International Energy Agency (Iea), con cui Eni evidentemente è in disaccordo. Mi limito a citare quanto affermato in alcuni documenti della Iea. «Le tecnologie di rimozione del carbonio sono costose e non provate alla scala richiesta». Inoltre (parole di Fatih Birol, direttore generale dell’Iea): «Rimuovere il carbonio dall’atmosfera è molto costoso. Dobbiamo fare tutto il possibile per non immetterlo nell’atmosfera». Virgolettati tratti dal report “The path to limiting global warming to 1.5 °C has narrowed, but clean energy growth is keeping it open”.

Inoltre, in un recente post della Iea su Linkedin, che riassume il contenuto del report “The Oil and Gas Industry in Net Zero Transitions”, si afferma: «La cattura del carbonio non è una soluzione magica. Ridurre le emissioni dei combustibili fossili significa ridurre la domanda di combustibili fossili».

Stando sempre alla Iea (Operating and planned CO2 storage facilities by storage type as of 2023, l’81% degli impianti di CCS opera con recupero di idrocarburi, non il contrario.

Riguardo al numero di impianti operativi al mondo, evidentemente abbiamo fonti diverse. Secondo il Global CCS Institute gli impianti operativi al settembre 2022 erano 30, non 350. Per quanto riguarda il ruolo della CCS negli scenari di decarbonizzazione dell’IPCC, nel primo scenario la CCS non è contemplata, e negli altri la quantità di CO2 da combustibile fossile da rimuovere è molto marginale, perché la CO2 che si prevede di catturare e sotterrare è quasi tutta proveniente dalla combustione di biomassa (BECCS, Bioenergy with Carbon Capture and Storage), cioè si tratta di CO2 sottratta all’atmosfera, non CO2 evitata, e fa una grande differenza (Fonte “IPCC Special Report on Global Warming of 1.5°C”, pag. 14.

Infine, concordo sul fatto che è molto difficile fare un atto terroristico in profondità: è molto più facile farlo in superficie.
In merito alla sicurezza, speriamo bene.

Federico M. Butera