Visioni

Stereotipi e luoghi comuni, la tragedia incompiuta della mafia

Stereotipi e luoghi comuni, la tragedia incompiuta della mafiaToni Servillo e Elio Germano in "Iddu" – foto di Giulia Parlato

Venezia 81 In concorso "Iddu" di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, protagonisti Toni Servillo e Elio Germano

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 6 settembre 2024

«La realtà è un punto di partenza non una destinazione» scrivono in testa a Iddu i registi, Fabio Grassadonia e Antonio Piazza., che certo non lesinano di invenzione, a beneficio soprattutto dei due protagonisti, «i mattatori» si diceva in tempo, Elio Germano e Toni Servillo, in questa nuova incursione nelle storie di mafia della loro Sicilia. E, appunto, ancora una volta la cronaca ne è lo spunto per prendere altre direzioni – come accadeva in Sicilian Ghost Story, dove la vicenda del tredicenne Giuseppe di Matteo, ucciso e sciolto nell’acido perché figlio di un collaboratore di giustizia veniva ricostruita in chiave fantasy e di fiaba. In Iddu (in sala il 10 ottobre) c’ è un libro di riferimento, Lettere a Svetonio, che raccoglie i pizzini fra Matteo Messina Denaro, superboss latitante ricercato ovunque, e l’ex-sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, il primo (Germano) il secondo (Servillo), entrambi rivisitati nella finzione fra commedia all’italiana e suggestioni di genere poliziesco passato per la serie tv.

MATTEO VIVE nascosto dalle serrande e dai Rainban che indossa da quando è ragazzo, sconvolto per la morte del padre amatissimo. Catello, ex preside e sindaco e molto altro ha perso beni e prestigio, vecchio democristiano vicino alla mafia, che di Matteo è stato padrino, è finito in carcere e ora è ricattabile per debiti e molto altro da tutti. Anche dai servizi che cercano Denaro e lo usano come «infiltrato» approfittando della familiarità fra i due, e della conoscenza di quella lingua comune – qualcosa di molto più che il dialetto, qualcosa che riguarda codici, identità, il riconoscersi – che loro non sanno, oltretutto vengono anche dal nord, una pista lasciata però in disparte per concentrari più sui duetti attoriali e sullo «stereotipo» da capovolgere.

SIAMO agli inizi degli anni 2000, nel frattempo Denaro è stato arrestato ed è morto poco dopo, ma questo non vuole essere un biopic, la narrazione vira per confrontarsi col genere «mafia» – e con quel paesaggio da cui è abitato divenuti «immaginario». Non è semplice come obiettivo perché sulla mafia la quantita di «letteratura» è infinita, specie nel nostro cinema visto che quella realtà più ancora della sua traduzione narrativa sa essere molto cangiante riadattandosi a ogni tempo. Iddu in questo senso non compie nessun passo, e nonostante il lavoro di senso nel cromatismo delle luci (di Lica Bigazzi) e una cura formale in quel paesaggio si adagia fluttuando fra i turbamenti del padrino (se mai ce ne fosse bisogno) e la meschinità servilmente complice di tutti. Il «genere» appare come uno spazio bidimensionale nel quale ciascuno dei personaggi non ha conflitto né necessità se non rimanere nei luoghi comuni. Che restano tali senza aggiungere nulla di più.

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