Una ragazza fa la parrucchiera in un salone di provincia, ha una vita abitudinaria fatta di clienti sui settant’anni da accontentare, il suo rapporto con il fidanzato pompiere comincia a sfilacciarsi, restano le mortali domeniche in famiglia. In questa vita tranquilla e noiosa irrompe un giorno un cliente misterioso e affascinante che dimentica il suo tascabile nel negozio. Clara porta a casa il libro, e lo infila nell’unico scaffale della sua libreria, che comprende alcuni manga, gli oroscopi annuali, la biografia di Ibrahimovic e poco altro. Poi un giorno decide di aprire quel volume, e comincia a leggerlo. È quanto immagina Stéphane Carlier nel suo romanzo Clara legge Proust (traduzione di Ilaria Gaspari, Einaudi, pp. 168, € 17,50), una sorta di divertente laboratorio sulle reazioni di una lettrice naïve che affronta La strada di Swann, partendo da un grado zero di competenze letterarie.

Alla lettura delle prima pagine, i commenti irritati di Clara –  «scrivere tante parole solo per dire che non riesce a dormire» –  rimandano alla reazione di Gide o di Virgina Woolf o dell’editore Ollendorf, che più o meno con le stesse argomentazioni rifiutò di pubblicare il manoscritto di Proust. Ma, pur essendo del tutto incolta, Clara è più riflessiva: le basta concentrarsi un po’ e gradualmente approda a una qualche identificazione: «anche a lei è successo, nell’attimo in cui si addormenta o nei secondi che seguono il risveglio, di non sapere più se si trovasse nel suo appartamento, nella casa dove è cresciuta, oppure dalla nonna».

Sempre più attratta dal racconto, Clara decide di continuare la lettura: Proust ora non le appare «difficile» bensì «diverso», in questione non è la complicazione delle molte parole, piuttosto il fatto che «le sue frasi spesso finiscono altrove» – osserva, dimostrando di afferrare a modo suo il funzionamento della metafora proustiana. Dunque, non solo tiene duro, ma passa ai volumi successivi, con fervore crescente. Certo, le clienti alle quali cerca di raccontare l’esperienza della madeleine cominciano a guardarla con diffidenza, e il suo post con la copertina  della Strada di Swann non riesce a competere con le altre immagini (dieci like a Proust, e centonovantatré alla foto del suo gatto).

Il libro di Carlier appartiene a un filone il cui ideale capostipite è il celebre saggio di Alain de Bottom Come Proust può cambiarvi la vita (Guanda 2003) e ne costituisce una sorta di applicazione romanzesca. Come già Il Taccuino perduto (Mondadori, 2016)  di Pierre-Yves Leprince, questo genere di libri si propone di iniziare un lettore che non abbia familiarità con la letteratura all’universo proustiano, catturandolo con un racconto godibile, a tratti anche spassoso, che gli illustri le scoperte straordinarie nascoste nella Ricerca del tempo perduto.

I neofiti proustiani godranno di una serie di magnifiche citazioni dalla Recherche, che Carlier introduce nel suo romanzo con l’effetto di invogliare a un approfondimento anche senza la guida di un commento critico. Alla fin fine, infatti, Proust scrive di cose piuttosto semplici, e forse è anche l’enorme superfetazione specialistica prodotta dal suo capolavoro che ha concorso a spaventare tanti potenziali lettori. Il microcosmo del salone in cui lavora Clara, in competizione con  la parrucchiera del centro commerciale di cui si serve una clientela più giovane e numerosa,  potrebbe essere una sorta di clan Verdurin contemporaneo. Nella titolare del negozio, Madame Habib, che aspira a riprendersi il suo cognome da ragazza le cui consonanze suonano più francesi, si può leggere una trasposizione di Madame Verdurin cui non riesce la scalata sociale. E nel prendere coscienza della illusorietà del suo trasporto verso il bel pompiere, Clara incarna una variante della Odette proustiana, mentre il mondo di Sodoma e Gomorra viene evocato dalla decisione di cambiare sesso dell’autista del bus paesano, gran cultore di Proust.

Per quanto questa lettura di secondo grado sia ovviamente la più divertente, anche chi sia digiuno di Proust è catturabile dalla storia di Clara. Certo, scrivere libri appositi per dimostrare il valore irrinunciabile che la letteratura conserva nel mondo contemporaneo la dice lunga sul posto in cui si considera che la letteratura sia relegata: quello cui appartiene il romanzo di Carlier è un genere editoriale spesso di grandissimo successo; ma in esso sembra nascondersi anche un bisogno di rassicurazione dei molti cultori della lettura, che non si rassegnano a considerarla decorativa e inessenziale.