Stefano Fassina: «Raggi è divisiva. A Roma invece vanno accorciate le distanze»
Intervista Parla il deputato di Leu e consigliere comunale, promotore della coalizione sociale «Roma Ventuno». «L’antifascismo, l’onestà e la competenza sono prerequisiti, serve una visione lunga»
Intervista Parla il deputato di Leu e consigliere comunale, promotore della coalizione sociale «Roma Ventuno». «L’antifascismo, l’onestà e la competenza sono prerequisiti, serve una visione lunga»
Onorevole Stefano Fassina perché Raggi ha così accelerato la propria autocandidatura?
Il lavoro in Campidoglio di questi anni mi ha permesso di conoscere meglio il M5S e so che la sua candidatura è molto contrastata, sia per il giudizio sulla sua giunta che per via della fase politica attuale.
Contrastata ma evidentemente fondata sul vuoto che ha attorno, perfino nel centrodestra dove la carta vincente ancora non c’è. Lei però ha detto no a Raggi e no al centrosinistra. Perché?
Perché a mio avviso c’è una sorta di rimozione dei motivi che hanno portato il M5S (al posto di Raggi poteva esserci chiunque) a trionfare alle ultime elezioni. Fu un voto liberatorio per i romani e invece si considera Raggi come un accidente del destino da fare fuori per tornare alla normalità. Non è così, ci vuole una svolta.
Fu un voto anche per punire il Pd e il suo ignobile modo di far fuori Marino.
Assolutamente sì, quella mossa contribuì a completare il giudizio negativo, ma che credo fosse già maturato. È stato pagato il distacco della sinistra – sia quella riformista che radicale – dal popolo delle periferie, che dovrebbe essere il nostro principale riferimento.
Che progetto è «Roma Ventuno» di cui lei è promotore?
In questi anni abbiamo costruito sul campo, con mille vertenze, dal lavoro alla casa, dall’acqua alla tutela dell’ambiente, relazioni tra esperienze vive e di qualità. Roma Ventuno è la costruzione di una coalizione sociale che punta a innescare quel processo di rinnovamento della classe dirigente di cui Roma ha bisogno. Durante la festa di programma alla Città dell’altra economia dall’11 al 13 settembre daremo visibilità, sul piano programmatico e politico, a una proposta per la città.
Sperando che da questo venga fuori un nome, o c’è già?
Il nome arriva in fondo al processo e dipende anche dalla capacità di incontro che avremo con altri, perché l’obiettivo non è testimoniale né rimettere insieme i cocci della sinistra. È più ambizioso: il governo della città. Ma per questo c’è bisogno di incontrare altri percorsi che speriamo si rendano disponibili.
Ma allora perché dice no a Raggi?
Perché ho verificato sul campo – e lo dico io che mi sono posto fin dall’inizio come minoranza e non come opposizione, riconoscendo appunto la domanda di discontinuità che Raggi interpretava – i limiti e l’inconcludenza della sua amministrazione.
Però Raggi vuole i voti della sinistra.
Per convincere l’elettorato di sinistra temo ci voglia qualcosa di più della retorica antifascista. L’antifascismo è un valore costituzionale e dovrebbe accomunare tutti. Per il resto è un po’ tardi: sono anni che le chiediamo scelte chiare sugli immobili occupati, discontinuità sul lavoro, sul diritto all’abitare, sull’acqua pubblica, sul ciclo dei rifiuti… Ora la sua scelta suona opportunitistica, visto che lo spazio a destra è saturo. Inoltre Raggi, se tiene davvero alla città, dovrebbe riconoscere che la sua amministrazione per nascita è stata ed è fortemente divisiva. Quindi oggi dovrebbe fare un passo indietro, lasciare che si riapra una discussione con il Pd e la sinistra, e favorire una convergenza di tutte le forze che oggi sostengono la maggioranza del governo Conte.
Ciaccheri, Cirinnà, Smeriglio: tre nomi possibili nella sinistra del Pd, cosa ne pensa?
Ritengo che senza la discontinuità necessaria da parte del Pd, alleanze a prescindere non consentano di recuperare quel popolo delle periferie al quale invece ritengo prioritario rivolgersi.
È appena uscito per i tipi di Bordeaux «Roma: accorciare le distanze. La lezione del sindaco Petroselli», di cui lei cura la prefazione. Dieci voci importanti che riflettono sulla sfida che attende Roma. Cosa c’è da imparare da quell’esperienza?
Poco fa andava di moda l’onestà, oggi la competenza, due prerequisiti. Serve invece una visione di città e a Roma è drammaticamente necessario accorciare le distanze, quelle sociali, ambientali, culturali e morali perfino. A Petroselli era molto chiaro: se non riesci ad accorciare le distanze nella Capitale, non riesci a farlo nemmeno in un Paese così diviso e disomogeneo. Non a caso chiuderemo la festa celebrando i 150 anni da Porta Pia, che è stato l’atto fondativo della capitale di un Paese che fa fatica a riconoscerla in Roma.
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