Matteo Salvini lo chiama Salva-Casa, mentre per Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, quello varato ieri dal Consiglio dei ministri è un «condono mascherato, presentato come una semplificazione che aiuta i cittadini» e «pieno di falle». Aveva sperato che «Meloni facesse con Salvini quello che ha fatto con Leo sul redditometro, noi proveremo a spiegare in Parlamento dove stanno i guai seri del provvedimento, che è un’iniziativa elettorale, quando si sono sempre approvate sanatorie maxi, medie o soft, strumenti da sempre utilizzati per aumentare il proprio consenso».

Quali sono gli aspetti più controversi?
Intanto viene previsto un colpo di spugna sulle sanzioni per le difformità superiori al 2%, per immobili che non sono conformi al progetto. Viene poi introdotto un principio del silenzio-assenso da parte degli uffici comunali, che va a sostituire il silenzio-rigetto per gli abusi edilizi. A fronte di una richiesta di sanatoria fatta agli uffici tecnici, notoriamente molto sguarniti, se il Comune non risponde entro 45 giorni dalla richiesta, la sanatoria è approvata. Questo significa che gran parte delle istanze verranno in automatico accolte. L’accoglimento, poi, non è revocabile, anche in presenza di dichiarazioni mendaci o errori. La seconda è la cancellazione della clausola della «doppia conformità», che di fronte a interventi di modifica su regolamenti o pianificazioni urbanistiche permette di sanare un abuso se la nuova norma non la riconosce più come tale.

Mentre approva questo condono mascherato, Salvini in campagna elettorale attacca l’Europa e la direttiva sulla transizione nel settore abitativo.
In Italia non si vuol capire che le disposizioni conosciute come «case green» sono un veicolo per permettere alla filiere dell’edilizia di continuare a lavorare senza consumare suolo, che non è causato dal fotovoltaico a terra, oggetto del decreto Agricoltura di Lollobrigida, ma dalle nuove edificazione. È un potente strumento per riconvertire gli edifici, per intervenire sul costruito. Com’è stata raccontata, invece: sarebbe una patrimoniale nei confronti dei proprietari di casa; l’unica patrimoniale, invece, sono le bollette elettriche ed energetiche che continuiamo a pagare.

Del resto, questo governo punta ad aumentare la produzione elettrica, non a contenerne i consumi.
Un filo rosso lega ovviamente questi aspetti alla campagna contro il green deal europeo, per rinnovare e far durare più a lungo nel tempo il business delle imprese del vecchio modello economico, quello basato sul fossile e sul nucleare, che abbiamo respinto nel 1987 e di nuovo nel 2011, e che ora il governo vuole far tornare con la boutade dei piccoli reattori nucleari. Spiegano che produrrà energia a buon mercato, ma per quanto riguarda gli impianti di produzione esistono le economie di scala, più l’impianto è grande minore è il costo unitario.

Salvini ieri era a Genova, alla posa del primo cassone della nuova diga nel porto, uno dei progetti legati all’inchiesta che ha portato all’arresto del presidente della Regione Liguria, Toti.
La sua presenza spiega l’idea che Salvini ha del sistema delle opere. Vuole quelle Grandi, che rischiano di essere cattedrali nel deserto. Vale per il Ponte e vale per tutte le altre a cui sta dando visibilità con la sua azione politica. Un modello «salvinifico» che dimostra però di non funzionare, almeno a giudicare dai divari tra Nord e Mezzogiorno di cui si parla inutilmente da 150 anni. Servono opere diffuse, servono impianti e infrastrutture al servizio della transizione ecologica: un elenco c’è, è quello degli oltre cento Cantieri della transizione ecologica mappati da Legambiente, interventi che rischiano di essere depotenziati se si persegue il vecchio modello. Il problema è che le risorse non ci sono per fare tutto, non siamo nel Secondo dopoguerra e nemmeno nella Prima Repubblica. Esistono regole, relative alla spesa, anche se questo governo pare non tenerne conto.