Stefano Ardito: «Quell’area dell’Appennino non è un’Italia minore ma di grande fascino»
Ad Amatrice spaghetti e non solo Il giornalista di montagna Stefano Ardito: nell’alto Lazio due parchi nazionali, opere d'arte e un paesaggio unico tra alpinismo e cultura. «Quei paesi vanno ricostruiti dov’erano, come fu in Umbria. In queste zone di montagna ora va costruito un turismo adatto, "lento", ma complessivo»
Ad Amatrice spaghetti e non solo Il giornalista di montagna Stefano Ardito: nell’alto Lazio due parchi nazionali, opere d'arte e un paesaggio unico tra alpinismo e cultura. «Quei paesi vanno ricostruiti dov’erano, come fu in Umbria. In queste zone di montagna ora va costruito un turismo adatto, "lento", ma complessivo»
Il terremoto ha colpito un’Italia minore? Per Stefano Ardito non è così.
Documentarista, giornalista e scrittore, «nonché appassionato camminatore», Ardito ha lavorato sul recupero (effettuato dal Club Alpino Italiano) delle vecchie stradine, dei sentieri, delle scalinate e delle mulattiere che collegano le decine di frazioni di Amatrice e conosce tutti i tesori nascosti di un pezzo d’Italia solo apparentemente defilata.
A differenza di quanto accadde ai tempi del terremoto in Abruzzo con le new town berlusconiane, l’intenzione del governo stavolta pare essere quella di intervenire mantenendo, laddove è possibile, la struttura e l’identità urbana dei paesi distrutti.
Nessuna cementificazione alle porte, dunque: il modello di ricostruzione è quello del ’98 in Umbria, piuttosto che quello aquilano. Ardito fa un passo in avanti: per lui è «fondamentale» non solo che i borghi distrutti vengano recuperati, ma che essi diventino parte di un’«offerta turistica», cosa che «sarebbe importante anche per conservare la memoria di quei luoghi». L’abbiamo raggiungiamo al telefono.
Qual è la memoria di cui parla?
Questi posti appenninici che oggi sembrano molto remoti una volta erano ricchi e di grande passaggio. La ricchezza era la montagna, con i suoi boschi e i pastori con le pecore, e non bisogna dimenticare che da qui passa la via Salaria, un’importante arteria fin dai tempi dei Romani. Per questo arrivi e ti stupisci perché ci sono palazzi che oggi, con l’abbandono dei paesi e la fuga verso le grandi città, non verrebbero mai costruiti. Questo spiega pure l’alto numero di opere d’arte che vi si possono trovare.
Ci può elencare alcuni luoghi che ritiene fondamentali da visitare?
Ci sono tanti piccoli tesori nascosti. Vedendo la chiesa rinascimentale di San Francesco ad Amatrice ti rendi conto dell’importanza che un tempo la città ha avuto. In una frazione c’è il santuario dell’Icona Passatora, molto caro alla gente del posto, con affreschi del Quattrocento. Poi c’è il piccolo museo dedicato al pittore e scultore rinascimentale Cola dell’Amatrice, l’esponente più noto dell’arte appenninica.
Una curiosità: dietro l’altare della chiesa parrocchiale di Spelonga, una frazione di Arquata del Sasso, è conservata una bandiera con la mezzaluna strappata a una nave turca durante la battaglia di Lepanto.
E ancora: Arquata del Tronto ha un bel castello medievale restaurato che finora è stato un guscio vuoto, mentre ad Accumoli ci sono una serie di vecchi palazzi in arenaria (mentre di solito sono nel più resistente travertino), con portali scolpiti e colonne, spesso abbandonati, che non so in che stato si trovino ora, dopo che il paese è stato all’epicentro del sisma.Sono luoghi di grande fascino, con un’arte sottovalutata. Invece, l’unica cosa che si conosce di questi posti sono gli spaghetti all’amatriciana. Troppo poco.
C’è poi la montagna.
Qui si incontrano due parchi nazionali, quello dei monti Sibillini e l’altro del Gran Sasso e dei monti della Laga. Entrambi sono stati subìti, imposti dalla politica senza un progetto: niente trasporti né banda larga, nessun modello turistico basato sulla cultura e neppure il restauro delle vecchie abitazioni per renderle antisismiche. Chi si mette a risistemare la casa dei nonni, dove viene per poche settimane in estate, se non ci sono fondi e incentivi? Qui la gran parte delle persone abitano altrove, si sono trasferite soprattutto a Roma e tornano in paese per le vacanze, se il terremoto fosse accaduto tra una decina di giorni ci sarebbero stati un quarto degli abitanti e molte meno vittime.
E il turismo?
C’è un certo traffico di stranieri, che sono attirati dai parchi nazionali, e le montagne sono molto frequentate dagli alpinisti. Come in tutto l’Appennino, mancano però totalmente gli escursionisti. E’ necessario un turismo lento, che è anche un modo per esplorare il territorio. Non sono cose impossibili, penso a quello che già accade nelle Dolomiti e in Toscana.
Ritengo fondamentale non solo che i borghi vengano recuperati, ma che diventino parte di un’offerta turistica. Spero che, quando si faranno i restauri, la logica possa essere quella di inserirli in una prospettiva più ampia.
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