Stati, vescovi, attivisti contro la guerra al Niger. L’intervento armato è più evitabile
Africa Lo stesso parlamento della Cedeao (18 su 21) rifiuta l'idea di mandare i soldati contro i golpisti. Intanto la giunta vuole processare il presidente deposto Bazoum per «alto tradimento»
Africa Lo stesso parlamento della Cedeao (18 su 21) rifiuta l'idea di mandare i soldati contro i golpisti. Intanto la giunta vuole processare il presidente deposto Bazoum per «alto tradimento»
Appare evitabile l’intervento armato della Cedeao-Ecowas (Comunità economica dell’Africa occidentale) per «ristabilire la legalità costituzionale» in Niger. Il «no» all’uso della forza giunge da molte parti. Non solo dai governi di Guinea Conakry, Mali, Burkina Faso, gli ultimi due recatisi in Niger in segno di solidarietà con la giunta del Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp).
Ci sono andati ricordando l’«avventura in Libia» della Nato che ha prodotto un decennio di instabilità regionale». E un dilagante terrorismo: anche il 13 agosto sei soldati nigerini e dieci terroristi sono stati uccisi in combattimenti nell’ovest nigerino. Sanguinose imboscate jihadiste (anche di affiliati allo Stato islamico) si susseguono in Mali, dove la popolazione chiede un più forte intervento dell’esercito.
DALLA NIGERIA una delegazione di religiosi, d’accordo con Bola Tinubu, presidente del paese e della Cedeao, si è recata a Niamey per incontrare il nuovo capo del Niger, il generale Abdourahamane Tiani. Al termine lo sceicco Bala Lau, che guidava la missione, ha riferito che Tiani ha aperto a una soluzione diplomatica.
Il Cnsp, al tempo stesso, sostiene di aver raccolto prove per perseguire il presidente deposto Mohamed Bazoum e i suoi complici locali e stranieri «davanti agli organismi nazionali e internazionali competenti, per alto tradimento e pregiudizio alla sicurezza interna ed esterna del Niger». Ieri la condanna «stupefatta» della Cedeao: «Una nuova provocazione che contraddice la pretesa volontà di ristabilire l’ordine costituzionale con mezzi pacifici».
La Conferenza episcopale del Benin, evocando la saggia tradizione africana dell’«albero del dialogo», ha chiesto al presidente Patrice Talon di convincere i suoi omologhi regionali a negoziare, nella pace («unica via»), con il Niger «paese vicino, fratello e amico». Ha condannato le sanzioni «di una severità inaudita» a danno di una popolazione già povera.
Il parlamento della Cedeao, autoconvocatosi online, vuole organizzare una missione di mediazione a Niamey. Nella discussione di un memorandum sul Niger, 18 dei 21 interventi hanno respinto l’ipotesi di un intervento armato. Issa Salifou, vicepresidente della commissione pace e sicurezza del parlamento, aveva detto giorni fa ad Afrique Media: «Non siamo stati nemmeno consultati. Fino a quando la Cedeao rimarrà un club di capi di Stato anziché l’organizzazione dei popoli?». Ha poi aggiunto: «Il problema è interno al Niger. Ci sono stati altri colpi di Stato nei paesi della Cedeao, ma senza questo tipo di ultimatum», come quello scaduto il 6 agosto.
È STATA RINVIATA, ufficialmente «per motivi tecnici», la riunione dei capi di Stato maggiore della Cedeao che, ad Accra sabato scorso, doveva impostare il dispiegamento di una forza regionale in Niger. Sempre in Ghana, il partito di opposizione National Democratic Congress chiede un «dialogo costruttivo che ponga la volontà del popolo del Niger al centro di una soluzione amichevole».
Dal Senegal, l’appello di centinaia di personalità tra cui l’ex premier Aminata Touré, pubblicato da Seneplus, è perentorio: un intervento armato mancherebbe di base giuridica, brucerebbe risorse, sarebbe «un passo indietro nella storia», respinto «da tutti i popoli dell’Africa occidentale e dai difensori dell’ideale panafricano».
Inoltre, sottolinea un editoriale de L’Observateur (Burkina Faso), i soldati dei paesi Cedeao sarebbero tutt’altro che entusiasti all’idea di combattere contro i loro commilitoni nigerini per un progetto che a molti risulta un’ennesima ingerenza della France/Afrique.
IL PRESIDENTE di Capo Verde, José Maria Neves, ha respinto ogni intervento armato che «trasformerebbe la regione in uno spazio esplosivo». Preoccupati si sono da subito detti Algeria, Ciad e Mauritania, non aderenti alla Cedeao. Il Togo ha mantenuto aperto il confine.
Unione africana e Unione europea insistono più sull’integrità fisica del presidente deposto che sul suo ritorno in carica. Ma la Francia e i suoi amici hanno un’agenda nascosta?, si chiedono gli attivisti dell’Africa occidentale, le cui parole d’ordine ormai sono: «No alla guerra in Niger, via dall’Africa le forze militari straniere, no alle sanzioni». E «France dégage».
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