Stati uniti, la svolta imperfetta sul clima
Stati uniti La svolta imperfetta sul clima
Stati uniti La svolta imperfetta sul clima
Il pacchetto anti-inflazione portato a casa dai senatori democratici è una chiara vittoria per Joe Biden. Mette a segno un importante (ancorché ridimensionato) obbiettivo della sua agenda in un cruciale momento pre-elettorale e riporta gli Stati uniti nella conversazione climatica dopo anni di imbarazzante involuzione. Il cosiddetto Inflation Reduction Act approvato domenica infatti con l’inflazione ha ben poco a che fare, oltre al nome scelto per ragioni di marketing politico. La legge, destinata a essere ratificata dalla Camera a giorni, è una manovra su clima, sanità e tasse che stanzia soprattutto 370 miliardi di dollari per il primo decisivo intervento americano sul mutamento climatico.
SI PARTE DAGLI INCENTIVI per le auto elettriche che per 10 anni assicureranno fino a 7.500 dollari di sconto in concessionaria senza il precedente tetto di 200.000 unità per costruttore. Tesla, ma anche Toyota, Honda, General Motors e altre ringraziano (anche se sono esclusi modelli di lusso e acquirenti con redditi annui superiori ai 150.000 dollari). Inserita anche una clausola che impone che le batterie siano made in Usa, con componenti minerali nazionali o provenienti da paesi «convenzionati», una misura da leggersi in chiave di contenimento del concorrente cinese. Ugualmente incentivati i passaggi di classe energetica per le case, i pannelli solari e le turbine eoliche con 60 miliardi per la manifattura, 30 per l’installazione e altri 30 per lo sviluppo e la ricerca. Arrotondano i finanziamenti per la cattura del carbonio, riduzione di emissioni agricole, tutela forestale ed interventi anti siccità.
PIÙ CHE INVESTIMENTI diretti si tratta, è chiaro, di incentivi al settore privato (anche se vi sono finanziamenti anche destinati alla «giustizia climatica» e alle comunità svantaggiate) in linea quindi col modello greenwashing. L’approvazione inoltre ha necessitato numerosi compromessi e concessioni all’industria fossile per guadagnare il voto del famigerato senatore Manchin (per dire, il suo West Virginia ne esce con un nuovo gasdotto). Malgrado questo, da parte ambientalista è prevalso l’ottimismo riassunto da Leah Stokes, esperta di politiche ambientali dell’Università di California a Santa Barbara. «Si tratta di una svolta enorme», ha dichiarato. «L’investimento di 370 miliardi di dollari in questo settore è davvero storico. Una grande opportunità per iniziare ad affrontare il cambiamento climatico». Le misure previste dovrebbero permettere una riduzione delle emissioni del 31-44% sui livelli del 2005 entro il 2030. Considerando la precedente marcia indietro e la paralisi provocata dal boicottaggio repubblicano, non è poco.
IL TUTTO È, certo, una frazione dei numeri originalmente postulati nell’agenda build back better di Biden che superavano i 3.000 miliardi. Si tratta pur sempre però del doppio, ad esempio, del Pnrr destinato all’Italia, e soprattutto dopo i tentennamenti storici su Kyoto e Parigi, e dopo l’ostruzionismo trumpista, un importante segnale di impegno americano. Per di più di un obbiettivo raggiunto dopo essere stato dato per spacciato di fronte a quella che sembrava l’opposizione invalicabile di Manchin e con l’avvicinarsi delle elezioni mid-term che potrebbero privare Biden anche dei pur risicati margini parlamentari attuali.
TANTO PIÙ PREZIOSA quindi la vittoria per Biden che pur perseguitato dall’infimo gradimento registrato dai sondaggi, ha di recente inanellato una serie di successi legislativi su microprocessori, sanità per i reduci e infrastruttura che sommati agli iniziali pacchetti di recovery portano i suoi interventi economici e sociali vicino ai 3.500 miliardi di dollari, un’entità di intervento statale non vista dai tempi di Lyndon Johnson. Tutto mentre entra nel vivo una cruciale campagna elettorale in vista dei mid-term.
Fra le misure più affidabili dell’incisività di queste politiche vi sono stati gli attacchi provenuti dagli industriali. Dopo una massiccia campagna della lobby farmaceutica, un emendamento repubblicano ha eliminato l’articolo che avrebbe inserito massimali sul prezzo dell’insulina. Sul libero mercato americano un diabetico spende in media il 40% del proprio reddito per il farmaco. Ora i prezzi rimarranno invariati (in media 98 dollari per dose) ma Steve Ubl, direttore di PhRMA la principale lobby del settore, ha promesso comunque massicci finanziamenti elettorali contro i democratici che hanno osato sfidare Big Pharma.
ANALOGA PRESSIONE vi è stata in ambito fiscale. La legge prevede una stretta sull’evasione mediante il potenziamento delle ispezioni del fisco (Irs) e soprattutto sulla vera piaga dell’”evasione legale” che permette alle aziende ogni genere di vantaggio (Amazon ad esempio paga notoriamente meno del 6% in tasse). Ora per le corporation verrà introdotta una flat tax del 5% ed una penale del 1% sul riacquisto di azioni proprie – entrambe meno della proposta originale dovuto alle condizioni imposte da un’altra senatrice “ribelle”, Kyrsten Sinema.
Un successo imperfetto per Biden ma pur sempre un successo. E per il mondo una rara buona notizia.
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