Sputnik V, «The Lancet» pubblica i dati: efficace al 91,6%
Il vaccino sviluppato dall’istituto Gamaleya di Mosca Tra gli esperti permane un certo scetticismo intorno ai risultati vantati dagli scienziati russi: i test precedenti erano stati considerati poco trasparenti e anche in questo caso, nonostante la pubblicazione su una rivista prestigiosa, non sono stati resi pubblici elementi importanti come il protocollo di somministrazione
Il vaccino sviluppato dall’istituto Gamaleya di Mosca Tra gli esperti permane un certo scetticismo intorno ai risultati vantati dagli scienziati russi: i test precedenti erano stati considerati poco trasparenti e anche in questo caso, nonostante la pubblicazione su una rivista prestigiosa, non sono stati resi pubblici elementi importanti come il protocollo di somministrazione
La rivista The Lancet ha pubblicato i dati sui test clinici del vaccino russo Sputnik V, sviluppato dall’istituto Gamaleya di Mosca. I dati raccolti dai medici russi mostrano che il vaccino ha un’efficacia del 91,6% nel prevenire le forme sintomatiche di Covid-19. Nei circa quindicimila volontari che hanno assunto il vaccino, i casi di Covid-19 sono stati 16, mentre tra i cinquemila partecipanti al gruppo del placebo se ne sono registrati 62. Il vaccino si è dimostrato sicuro, secondo quanto scrivono gli scienziati russi, avendo fatto registrare solo reazioni avverse di lieve entità tra i vaccinati. Non sono stati raccolti dati riguardo alla capacità del vaccino di prevenire le infezioni asintomatiche.
Lo Sputnik V è un vaccino a vettore virale. Utilizza, cioè, un virus innocuo (un “adenovirus”) per trasportare all’interno delle cellule il Dna corrispondente alla proteina “Spike” del coronavirus Sars-CoV-2. Grazie al Dna introdotto con il vaccino, le cellule producono la proteina Spike e ne permettono il riconoscimento da parte del sistema immunitario, che stimola a sua volta la produzione degli anticorpi specifici. Nel caso di un’infezione, dunque, saranno questi anticorpi a neutralizzare il virus. Il sistema è analogo a quello del vaccino prodotto dalla AstraZeneca. A differenza del vaccino inglese, il vettore virale utilizzato dallo Sputnik V è un adenovirus umano e non prelevato dallo scimpanzé.
La scelta inglese di usare un adenovirus di un’altra specie dovrebbe scongiurare che l’organismo abbia già sviluppato un’immunità contro il vettore virale: se così fosse, la vaccinazione risulterebbe compromessa. Per la stessa ragione, il vaccino russo usa due diversi adenovirus diversi nella prima e nella seconda dose. Anche il vaccino sperimentale italiano prodotto dalla Reithera usa una tecnica analoga: ma l’adenovirus utilizzato come veicolo in quel caso è prelevato dai gorilla.
Lo Sputnik V è il primo vaccino a vettore virale a raggiungere un’efficacia paragonabile a quella dei vaccini a mRna, come Moderna e Pfizer. Finora, infatti, questo tipo di vaccini avevano dimostrato un’efficacia inferiore: circa il 60% per quello targato AstraZeneca, e tra il 57% e il 72% per quello (ancora sperimentale) prodotto dalla società farmaceutica Johnson & Johnson. Tra gli esperti permane un certo scetticismo intorno ai risultati vantati dagli scienziati russi: i test precedenti erano stati considerati poco trasparenti e anche in questo caso, nonostante la pubblicazione su una rivista prestigiosa come The Lancet, non sono stati resi pubblici elementi importanti come il protocollo di somministrazione. Per i governi a caccia di dosi, tuttavia, lo Sputnik V fa gola e si sta rivelando anche un’efficace risorsa geopolitica: già 15 paesi tra cui Ungheria, Argentina, Serbia, Algeria, Emirati Arabi Uniti ne hanno autorizzato l’uso. E anche la Germania, per voce della prima ministra Merkel ha aperto alla possibilità di utilizzare il vaccino russo.
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