Per la prima volta, ieri i deputati del Congresso spagnolo hanno potuto utilizzare liberamente tutte e quattro le lingue ufficiali: oltre allo spagnolo, anche il catalano, il galiziano e l’euskera. È un evento storico: per 45 anni, l’uso delle lingue parlate da un totale di 13 milioni di spagnoli era sempre stato proibito nella sede della rappresentanza popolare.

Il partito che più ha combattuto per rompere questo divieto è da sempre Esquerra Republicana, cui in più di una occasione era stato proibito usare il catalano – una lingua parlata da più di 9 milioni di persone, un quinto di tutti gli abitanti spagnoli, e i cui deputati erano stati sanzionati molte volte con l’espulsione dall’aula per aver pronunciato poche frasi nella loro lingua materna. Ci sono voluti gli incerti risultati delle elezioni di luglio per mettere il partito socialista, che a parole ha sempre difeso la realtà multilinguistica del paese, con le spalle al muro.

Una riforma che i partiti indipendentisti e nazionalisti avevano messo sul tavolo come condizione per votare la presidente della camera bassa, la socialista maiorchina ed ex presidente delle Baleari Francina Armengol, anche lei di lingua catalana. E quello che per anni era stato un divieto invalicabile – «è il regolamento», dicevano i vari presidenti, popolari e socialisti, del congresso che si sono succeduti negli anni – in poche settimane è stato superato. Non c’è nessuna norma nel regolamento che impedisca esplicitamente l’uso di altre lingue, bastava un po’ di volontà politica.

Per sancire questo cambio di paradigma, ieri la Camera ha iniziato a dibattere una norma express per modificare il proprio regolamento e introdurre esplicitamente la possibilità di utilizzare tutte le lingue co-ufficiali. E lo ha fatto permettendo ai deputati di esprimersi anche in catalano, galiziano e basco: grazie a auricolari senza fili e a schermi con sottotitoli, tutti hanno avuto accesso alla traduzione sincronizzata. Domani, in un procedimento insolito senza un governo insediato, la norma verrà approvata.

Tutto questo accade lo stesso giorno in cui il governo spagnolo ha proposto a Bruxelles, davanti ai 27, che queste stesse tre lingue siano aggiunte alla lista delle 24 lingue ufficiali dell’Unione europea. In Europa, il procedimento sarà più lungo: i 27 hanno chiesto al governo ad interim di Pedro Sánchez più tempo per studiare le implicazioni finanziarie e legali di questa modifica. Ma è comunque un primo passo, anche questo storico. E nessun paese si è opposto. La Spagna ha controproposto di iniziare dal catalano e di assumere i costi delle traduzioni. Non a caso Carles Puigdemont, ex presidente catalano ed eurodeputato in esilio a Bruxelles per sfuggire alla giustizia spagnola che lo persegue per aver organizzato il referendum di autodeterminazione in Catalogna, applaude “lo sforzo” dell’esecutivo socialista.

A Madrid intanto la destra si è scatenata: mentre il deputato socialista di Lugo (Galizia) Xosé Ramón Gómez Besteiro entrava negli annali di storia dicendo in galiziano «è un doppio onore inaugurare il sistema di traduzione simultanea nella mia lingua materna», i deputati di Vox e Pp protestavano istericamente. Quelli del Pp, si rifiutavano di indossare gli auricolari, mentre quelli di Vox uscivano dall’emiciclo lasciando polemicamente le loro cuffiette nel posto del presidente Sánchez (in viaggio ufficiale). Agli emotivi proclami dei deputati che si rallegravano della possibilità di poter esprimersi nella propria lingua, e a quelli di Psoe e Sumar che lodavano il multilinguismo della Spagna, il Pp rispondeva tacciando la giornata di «iperglicemia di epica», mentre Vox parlava di «Torre di Babele artificiale» per «quelli che vogliono smembrare la Spagna».