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Sorvegliare e punire, paradigma educativo fallimentare

verità nascoste

Verità nascoste La rubrica settimanale a cura di Sarantis Thanopulos

Pubblicato circa un anno faEdizione del 23 settembre 2023

Il governo è entrato a gamba tesa nel malessere grave e stagnante da tempo degli adolescenti. Ha preso due decisioni che sono l’una peggiore dell’altra: aprire ai minori le porte del carcere e far ritorno nelle scuole al voto di condotta.

In entrambi i casi il modello educativo che si vuole imporre ai giovani è quello del “sorvegliare e punire”, titolo di un importante libro di Michel Foucault in cui il filosofo fa del carcere il paradigma di un mondo fondato sul controllo dei cittadini e sul castigo dei dissenzienti e dei devianti.

Il governo conferma la sua visione correttiva nei confronti del disagio: stiamo male perché non seguiamo un modello di funzionamento e comportamento giusto, o perché siamo fatti in un modo sbagliato, e non perché i nostri desideri non trovano il loro posto nella vita e lo spazio necessario per il loro sviluppo.

Il modello correttivo obbedisce a una logica semplice: chi obbedisce alle regole si accontenta e gode, chi non lo fa è severamente punito e serve da esempio educativo agli altri. Le regole sono importate dal funzionamento delle macchine: offrono un’organizzazione della vita stabile e riproducibile, adatta a una manutenzione buona. Si fondano sul potere del più forte che decide e sull’obbedienza del più debole che esegue. Impostano la vita sui bisogni materiali (espandendo in modo artificiale il loro campo) e impongono un culto di adesione a valori ideali astratti dalla vita che funzionano in modo insieme calmante e eccitatorio.

La prospettiva che ha imboccato il governo è fallimentare: aumenterà di molto il disagio degli adolescenti allontanandoli dal processo di transizione che li porta verso una definizione della loro posizione nella vita adulta. A partire dalla pandemia (ma l’andazzo era iniziato molto prima) sì è imposto progressivamente nei fatti un modello di vita per i giovani che restringe i loro spazi conviviali culturali e massifica le loro relazioni (affidate a comunicazioni anonime e luoghi diventati impersonali).

La frustrazione dei loro desideri e sentimenti che ne consegue, alimenta la ricerca di dispositivi in grado di produrre adrenalina e di facilitare la sua scarica.

La cultura dello sfogo delle emozioni è la chiave di approccio al vivere che la società offre oggi ai giovani. Questa cultura produce violenza crescente e converte la “fluidità” naturale degli adolescenti (che oscillano sperimentalmente tra femminile e maschile, tra l’omosessualità e l’eterosessualità, tra il pensiero più anarchico dell’infanzia e quello più strutturato della via adulta) in irrigidimenti identitari che non si relazionano con le differenze. Le identità rigide, che non sono “né carne, né pesce”, sono identità neutre e rappresentano un grande serbatoio di consenso per le forze autoritarie. Dietro la loro mancata definizione (che richiede libertà, plasticità è un rapporto di co-costituzione con altre identità), si nasconde un riflesso di immedesimazione con le istanze di ordine. L’immedesimazione con l’ordine serve bene, insieme all’autoritarismo, anche il delinquere perché le attività criminali seguono lo stesso modello correttivo del diritto del più forte sul più debole dei sistemi totalitari.

La nostra società in profonda crisi non tollera i processi di transizione, che vive come destabilizzazioni, e chiede in modo schizofrenico agli adolescenti di affrettarsi a diventare adulti, restando, al tempo stesso, bambini obbedienti. Delinquere consente sia di diventare precocemente adulti, senza mai arrivare a esserlo veramente (cioè in modo responsabile), sia di assecondare il vero principio dell’ordine: la violenza del più forte.

In Italia ci sono molte comunità che svolgono un lavoro psicosociale di recupero di adolescenti delinquenti e ottengono grandi risultati. Sostenerle sarebbe d’obbligo per governanti lungimiranti che hanno a cuore l’interesse di tutti.

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