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Sono maschio. Forse è un problema

In una parola

In una parola La rubrica settimanale a cura di Alberto Leiss

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 23 marzo 2021

So che il mio lettore più stimato (e amato) storcerà il naso: uffa, di nuovo l’«annoso problema delle donne» (citazione dal mitico Altan). Ma lo rassicuro: parlo di noi maschi. E della affermazione di Enrico Letta (intervista al Messaggero, ripresa dalla Stampa): «Quando sono arrivato ho detto che c’è un problema enorme di presenza femminile nel nostro partito: tre ministri sono uomini, io sono un uomo…».

Il discorso riguarda poi la proposta del neo segretario del Pd rivolta ai gruppi parlamentari: eleggete come capegruppo due donne. I maligni potrebbero pensare che Letta agiti l’«annoso problema» per liberarsi di colleghi maschi in odore di renzismo.

Ma resta il fatto linguistico, e sommamente simbolico, a mio avviso.

Mi accorgo di essere un maschio, vedo la mia differenza, e anche che siamo in troppi dello stesso sesso a spartirci il potere in questo malconcio partito.

Altra affermazione: «La mia esperienza lontano dal partito per sette anni mi suggerisce che oggi esiste una sensibilità per la quale non è immaginabile il maschilismo». Non abbiamo forse a che fare con l’Europa di Merkel, Von der Leyen, Lagarde (e molte altre)? Solo uomini come l’ungherese Orban o il polacco Morawiecki e, aggiungo io, gli Erdogan, i Bolsonaro, i Trump, e certi omologhi italici, possono far finta di non vedere. O, peggio, in realtà agire con violenza per resistere alla nuova libertà femminile.

Il prof. Letta sembra voler dire che esiste un mondo, fuori dai partiti per come sono ridotti oggi, in cui le relazioni tra maschi e femmine sono già molto mutate: non sarebbe il caso di prenderne atto?

Si sa che le cose più evidenti – come la lettera rubata su cui hanno fantasticato e pensato Poe, Lacan e Derrida – spesso risultano le più invisibili. Forse perché, una volta viste, proprio come il contenuto di una lettera determinante per la nostra vita, ci costringono a cambiare radicalmente il modo di agire e di pensare.

Sarebbe bello che l’autoriconoscimento di Letta favorisse una autoriflessione oltre che nel Pd anche in altri luoghi di assembramento maschile. Nella politica, l’informazione, l’accademia, l’economia, le chiese ecc.

Non si tratta di cospargersi il capo di cenere per cattivi comportamenti millenari – anche se non sarebbe male un aperto rendere conto della enorme quantità di violenza che nel mondo continua a essere generata soprattutto da uomini, impegnati in guerre di sesso, di potere, di conquista, oppressione ecc. Ma di valutare attentamente se guardare nello specchio la propria immagine riflessa può aiutare – come dicono amiche femministe – a conquistare un senso più libero della propria differenza sessuale.

La liberazione delle donne, e di tutti tutte coloro che cercano di seguire il proprio desiderio anche, e specialmente, quando è «dissidente» rispetto alla norma, potrebbe essere occasione per una più vera libertà anche di noi maschi più o meno «normali».

Ciò che invece non va bene – o quantomeno non mi piace – è il riprodursi tra gli stessi soggetti di questa liberazione, sulle diverse interpretazioni di parole come differenza, sesso, genere, identità sessuale, di un discorso che segue le dinamiche – abbastanza «maschiliste»? – della contrapposizione amico-nemico.

Ora che si riparla della legge Zan contro l’omotransfobia sull’onda di nuove violenze è il caso di «uscire dal silenzio», e di farlo senza negare in radice punti di vista diversi. Per quel che vale, a me non convince del tutto una norma che detta definizioni sul sesso e mette insieme la misoginia con le violenze contro persone disabili.

Ma più della legge potrebbe contare la qualità del confronto con cui sapremo accompagnarla.

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