«Solo sì è sì», Dani Alves condannato per stupro
Spagna Sentenza esemplare del tribunale di Barcellona: quattro anni e mezzo di carcere al calciatore. Irene Montero, madrina della legge che mette il consenso della donna al centro: «È il risultato della lotta femminista»
Spagna Sentenza esemplare del tribunale di Barcellona: quattro anni e mezzo di carcere al calciatore. Irene Montero, madrina della legge che mette il consenso della donna al centro: «È il risultato della lotta femminista»
Il calciatore brasiliano Dani Alves è stato condannato in primo grado dal tribunale di Barcellona a quattro anni e mezzo di prigione per violenza sessuale agita nei confronti di una giovane ventenne, il 30 dicembre del 2022, nei locali della discoteca Sutton del capoluogo catalano, perché il rapporto sessuale avvenne senza il consenso della vittima.
La sezione 21 dell’Audiencia Provincial di Barcellona considera infatti provata dal processo «l’assenza di consenso, con uso di violenza e con accesso carnale», il calciatore abusò della vittima «nonostante la denunciante dicesse di no, che se ne voleva andare». La sentenza prevede oltre il carcere, cinque anni di libertà vigilata e il pagamento di 150.000 euro a titolo di indennizzo.
SI TRATTA DELLA PRIMA sentenza in un processo per stupro nell’epoca del Solo sì è sì, la legge sulla libertà sessuale approvata dal parlamento spagnolo nell’agosto del 2022 che mette il consenso della donna al centro della relazione sessuale. Una sentenza che perciò rappresenta una cesura nella storia giudiziaria spagnola nei casi di violenza sessuale: «È il risultato della lotta femminista per il diritto alla libertà sessuale e per mettere il consenso al centro. È finita l’impunità», ha dichiarato l’ex ministra per le Pari Opportunità Irene Montero, che quella legge aveva voluto. Lo ha confermato l’attuale ministra per le Pari Opportunità, Ana Redondo, difendendo il buon funzionamento della legge. «Che serva come una misura esemplare per tutti i comportamenti maschilisti che soffrono le donne», ha commentato Yolanda Díaz, vicepresidente del governo spagnolo.
«Per l’esistenza di un’aggressione sessuale non è necessario che si producano lesioni fisiche, né che ci sia un’eroica opposizione della vittima alla relazione sessuale. Il consenso non solo può essere revocato in qualunque momento, ma è anche necessario che venga dato per ciascuna delle varianti sessuali all’interno di un incontro sessuale», scrivono i giudici nella sentenza.
Ed è un messaggio inviato alla società nel suo insieme su come debba intendersi il consenso alla relazione sessuale e perciò quando si debba riconoscere un caso di violenza: «Neppure il fatto che la denunciante abbia ballato con l’accusato in modo equivoco può farci supporre che dava il consenso a tutto ciò che sarebbe potuto accadere successivamente. Il consenso nelle relazioni sessuali deve darsi sempre prima e anche durante la pratica sessuale».
IL VERDETTO È SOLO la conclusione di un procedimento che ha funzionato bene fin dall’inizio. Perché nel momento in cui la ragazza uscì in lacrime dalla zona vip della discoteca, nel cui bagno era avvenuto lo stupro, i gestori del locale si preoccuparono di applicare subito il protocollo previsto dalla legge, nonostante la notorietà del cliente implicato, chiamando i Mossos d’Esquadra. Dopo le prime dichiarazioni, la vittima fu quindi accompagnata all’ospedale Clínic di Barcellona per gli accertamenti. Durante il dibattimento, il tribunale ha vigilato sulla salvaguardia dell’identità della giovane.
Dani Alves fu interrogato nel gennaio del 2023, rientrato in Spagna per ragioni familiari dal Messico dove giocava con il club Pumas. Al primo interrogatorio, cambiò la sua versione dei fatti tre volte, passando dalla non conoscenza della vittima al fatto che quest’ultima le si fosse intenzionalmente buttata addosso. Venne subito messo in regime di carcerazione preventiva per il rischio di fuga. Solo nel corso del dibattimento, riconobbe che c’era stato un rapporto sessuale, pure asserendo che era stato consenziente. La sua difesa ha cercato in tutti i modi di screditare la vittima, la madre di Alves ha fatto girare un video con la ragazza assieme alle sue amiche rilassata, per confutare che patisse conseguenze psicologiche dai fatti di oltre un anno fa. Ma i giudici non gli hanno creduto.
FINISCE COSÌ LA CARRIERA di un brillante calciatore, un po’ difensore un po’ centrocampista, nato in Brasile da una famiglia povera, approdato a Siviglia nel 2003. E poi in altri club europei, il primo fra tutti il F. C. Barcelona, con cui ha vinto 23 dei 43 titoli conquistati.
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