Sirente-Velino, un taglio fuori dalla realtà
Storie La Regione Abruzzo motiva il taglio di 10 mila ettari di Parco naturale per presunti «disagi socio-economici e demografici dei comuni inclusi nell’area protetta». Ma sindaci e associazioni denunciano altri interessi
Storie La Regione Abruzzo motiva il taglio di 10 mila ettari di Parco naturale per presunti «disagi socio-economici e demografici dei comuni inclusi nell’area protetta». Ma sindaci e associazioni denunciano altri interessi
Disagi socio-economici e conseguentemente demografici, lamentati nei territori, come diretta conseguenza della loro totale inclusione nel perimetro dell’area protetta».
È LA MOTIVAZIONE con cui la Regione Abruzzo – con ok della maggioranza di centrodestra del Consiglio regionale lo scorso 18 maggio – ha adottato la «Nuova disciplina del Parco naturale regionale Sirente – Velino con revisione dei confini». Una leggina che ha tagliato circa 10mila dei complessivi 54.361,22 ettari del Parco, nato nel 1989 e che annovera Zone speciali di conservazione (Zsc), una Zona di protezione (Zps) e diversi Siti di interesse comunitario (Sic), istituiti dall’Unione Europea. La riperimetrazione, arrivata in barba alle 125 mila firme raccolte dagli ecologisti e ai 18 mila e più emendamenti presentati dai gruppi di opposizione (5Stelle con Giorgio Fedele e Pd con Pierpaolo Pietrucci ), era già stata approvata dalla Giunta il 15 giugno dell’anno passato, in piena pandemia da Covid-19, su proposta del vice presidente della Regione, il leghista Emanuele Imprudente, con deleghe ad Ambiente e Parchi e riserve naturali, ma pure alla Caccia.
ALLA SUA STESURA HA LAVORATO Igino Chiuchiarelli, agronomo di Ovindoli (Aq), funzionario della Regione, di cui è responsabile dell’Ufficio Parchi e Riserve. Ma lui è anche commissario del Sirente-Velino e, si vocifera, prossimo direttore del Parco. Una leggina il cui testo, almeno quello portato in aula, appare a tratti vago, non definendo neppure l’esatta misura dei tagli. Voluti – a detta di Imprudente – dai Comuni del Parco, sia quelli della Valle Subequana che dell’Alto Aterno, ai quali viene addossata la scelta dell’operazione, che è, nelle intenzioni di chi l’ha avallata, «una revisione dell’apparato normativo a seguito delle mutate esigenze» della realtà; «dell’emergenza dei danni alla fauna selvatica, soprattutto cinghiali, che hanno generato situazioni di conflitto e rilevanti problemi» e «delle difficoltà connesse alla ricostruzione post terremoto che trova rallentamenti procedurali».
INSOMMA I MALI DEL TERRITORIO generati dal Parco: dallo spopolamento, agli assalti degli ungulati; ai centri abitati che, a 12 anni dal sisma del 2009, faticano a ritrovare una propria identità e a rimettersi in piedi, infognate in una stagnazione a causa della burocrazia made in Italy. E allora via, meglio dargli una ridimensionata, per renderlo, come è stato evidenziato, «più funzionale alle esigenze delle comunità locali ed espressione della volontà popolare». Da qui l’accettata che si è abbattuta sulle montagne marsicane, con polemiche fiorite in ogni dove. E col presidente della Regione, Marco Marsilio, che respinge «la presunzione di qualche borghese radical chic che sta nei salotti dei Parioli e pretende di dire a chi vive sul Velino come deve farlo, se può fare una staccionata o se deve adibire un posto a pascolo». «Frase priva di fondamento – ribatte il Wwf – e pronunciata da uno che con l’Abruzzo c’entra come gli arrosticini cotti in padella».
PARTITI, MOVIMENTI E ASSOCIAZIONI contestano la riforma, promettono battaglia e gridano allo scandalo parlando, con l’eliminazione dei vincoli, di «via libera a doppiette, speculatori e disboscamento». La questione è approdata anche in Parlamento con la deputata pentastellata Patrizia Terzoni e col segretario nazionale di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni che, come sollecitato pure da Legambiente, chiedono al ministro della Transizione ecologica e a quello degli Affari regionali «l’impugnativa davanti alla Corte Costituzionale della norma appena sarà pubblicata sul Bollettino ufficiale» e comunque «quali iniziative il Governo intende assumere».
IN MEZZO, CON LE LORO RAGIONI, ci sono i sindaci dei borghi del Parco ai quali viene addebitata la responsabilità dell’accaduto. Ma non tutti sono per la sforbiciata. L’ex primo cittadino di Acciano e consigliere regionale Americo Di Benedetto non l’ha votata, astenendosi: «È un’operazione che interessa una porzione di territorio con equilibri e criticità particolarmente delicati. Occorre quindi che vi sia la piena consapevolezza di ciò che si sta facendo e di quali siano le conseguenze. Prima di qualsiasi modifica serve una valutazione tecnico-scientifica». A Ocre, 23 chilometri quadrati e circa mille residenti, il sindaco, Gianmatteo Riocci, ha invece sollecitato, come fatto anche dal suo predecessore, Fausto Fracassi, l’ampliamento della porzione di territorio ricadente nel Parco. «Vogliamo – fa presente – che la frazione di San Panfilo, il capoluogo, dove ha sede il municipio, e quella di San Martino, già salvaguardati, entrino nel Parco. Siamo convinti della necessità di un futuro ecocompatibile e sostenibile, legato al turismo». E racconta, Riocci, dei sentieri escursionistici, per passeggiate, anche in bici, delle doline, del convento di Sant’Angelo, del monastero di Santo Spirito, delle antiche rovine del castello. Mettiamo in campo la valorizzazione di questo patrimonio che ci è stato donato». Ma nella riforma appena attuata, la richiesta del suo Comune, di includere nel Parco il 40% in più del territorio, è stata dimenticata. O depennata. Sparita, inghiottita tra le scartoffie. «C’era il nulla osta delle varie Commissioni, ma in Consiglio è stato stabilito altro. Mi dovranno spiegare che è successo», chiude Riocci. «I Comuni ascoltati a senso unico…», tuona ancora il Wwf. «L’aspetto amministrativo indecente – rileva Enrico Perilli, della segreteria regionale di Sinistra italiana – è che i Comuni che si sono battuti contro il Parco, hanno però lasciato una piccola parte di territorio al suo interno, al fine di prendere finanziamenti e partecipare alla governance. La Regione ha generato confusione, perché per effettuare interventi nei Sic sarà comunque necessario espletare le procedure di Vinca (Valutazione di incidenza ambientale) e Vas (Valutazione ambientale strategica) , ma senza più i previsti vantaggi in termini di promozione e compensazione dello stare all’interno di un Parco».
POI CI SONO LE PECULIARITÀ ambientali. Ci sono i luoghi di riproduzione del lupo, i corridoi del passaggio dell’orso bruno marsicano, a rischio estinzione; i siti con nidi dell’aquila reale e del gufo reale, gli habitat di chirotteri rarissimi. «Allo stato attuale – riprende Perilli – l’orsa Amarena potrebbe transitare in posti esclusi dal Parco e finire in una braccata al cinghiale, tecnica venatoria aggressiva, ed essere uccisa o separata dai cuccioli. È inaccettabile che la Regione, firmataria di protocolli a protezione di questa specie, citiamo ad esempio il Patom (Piano d’azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano), continui a predicare bene e a razzolare male». Tra l’altro sono stati allentati i divieti in zone dove il bracconaggio non manca. «È di qualche settimana fa – racconta Perilli – il ritrovamento di una cerva stretta in un laccio d’acciaio, pratica primitiva e violenta». Intervenuti Asl e carabinieri forestali. L’animale è stato salvato.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento